Il terzo mandato e il depotenziamento della democrazia

Il caso del Veneto ha fatto emergere come la concentrazione personalistica del potere finisca per produrre la cristallizzazione di interessi attorno al capo: così il leader si pone su un piano separato rispetto alla comunità politica

Ivo Rossi *
Il presidente del Veneto Luca Zaia
Il presidente del Veneto Luca Zaia

Caro direttore,

la telenovela sul terzo mandato dei presidenti delle regioni, che nel Veneto va in scena ininterrottamente dall’autunno del 2022, fra ostentate dissimulazioni iniziali da parte del diretto interessato e alternate rivendicazioni all’insegna del “lo vuole il popolo”, ha mandato in questi giorni in replica un nuovo maldestro tentativo: con la Lega che, un po’ per finzione e un po’ per convenienza, chiede l’eliminazione del divieto di terzo mandato, Fratelli d’Italia che gioca al cerino acceso e Forza Italia con Tajani che ricorda “i presidenti di regione hanno più potere di un premier” e anche “Hitler e Mussolini sono stati eletti dal popolo”.

Ma la bozza di emendamento, girata in questi giorni fra le forze di maggioranza, è risultata di difficile scrittura in quanto Zaia, avendo già tre mandati pieni alle spalle, avrebbe avuto bisogno di una norma ad personam, oppure che il divieto di mandati plurimi operasse a partire dal quinto e non più dal terzo, oppure che venisse eliminato qualsiasi limite. Un po’ troppo, anche per chi metterebbe sotto gli stivali il diritto e i principi per piegarlo alle necessità del mercato politico del momento.

Dibattito surreale tanto più se si considera che è di poche settimane fa la sentenza della Corte costituzionale che ha dichiarato l’illegittimità della norma “salva De Luca”, ricordando che il divieto del terzo mandato è “un temperamento di sistema”, necessario per “impedire che si vada verso una forma di governatorato assoluto, senza limiti di tempo”.

In più, ha ribadito che si tratta di “un principio generale” indispensabile a “bilanciare il rischio, insito nell’investitura popolare diretta, di spinte plebiscitarie e di una concentrazione personalistica del potere”.

Concentrazione personalistica del potere che nel tempo, come la vicenda veneta mostra in modo esemplare, finisce per produrre la cristallizzazione di interessi attorno al capo che ha come effetto indiretto, oltre al depotenziamento della vita democratica e della sua dialettica, quello di porre il leader su un piano separato rispetto alla comunità politica che lo ha originariamente espresso ed è chiamato a governare.

Se l’ipotesi dei mandati plurimi sembra essere finita su un binario morto, il ritorno di fiamma di un possibile slittamento a primavera delle elezioni, un po’ per prendere tempo, un po’ per far inaugurare le Olimpiadi a Zaia (come se le istituzioni potessero sottostare ai capricci del potente di turno), sarebbe un ulteriore segno del decadimento della vita pubblica anche se, per fortuna, un argine c’è, ed è l’articolo 60 della nostra Costituzione che stabilisce in 5 anni i mandati elettorali affermando che “la durata di ciascuna Camera non può essere prorogata se non per legge e soltanto in caso di guerra”.

E sul tema, visto quello che sta succedendo nel mondo, non è proprio il caso di scherzare. 

*responsabile Autonomia e regionalismo Pd Veneto

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