Violenza politica e guerre: siamo prigionieri di un mondo polarizzato
I conflitti tra i paesi e tra le persone tornano protagonisti. L’omicidio di Charles Kirk è l’ultimo esempio


Polarizzazione. È la parola del momento. Inevitabilmente chiamata in causa per leggere momenti come questo, in cui la violenza torna protagonista della scena politica. Non solo nello scontro tra Paesi, nei diversi scenari di guerra. Ma anche nei conflitti tra le persone: dentro gli stessi Paesi. Compreso il Paese che, fino a qualche tempo fa, veniva indicato come la più grande tra le democrazie: gli Stati Uniti, lacerati dall’uccisione dell’attivista Charles Kirk. Ad opera di un giovane “dell’altra parte”. Sì, ma di quali “parti” stiamo parlando, quando parliamo di polarizzazione?
Sorprende, per certi versi, l’enfasi su un concetto classico, centrale nelle letture della politica novecentesca. Sorprende da una prospettiva europea e, forse ancor prima, italiana. Visto che il nostro Paese ha (già) conosciuto tassi elevati di polarizzazione. All’epoca della Prima Repubblica. Quando la politica era permeata dall’ideologia. La società si divideva in “chiese politiche” – anzitutto, quella democristiana e quella comunista. Le diverse fedi politiche si traducevano in militanza, e quest’ultima degenerava, spesso, in militanza armata.
Colpisce, ancora, il dibattito di oggi, se si pensa che la polarizzazione di quegli anni rifletteva le divisioni internazionali. La polarizzazione italiana si rispecchiava nel bipolarismo internazionale. E uno dei suoi “poli” era rappresentato proprio dagli Usa.
Oggi, l’America ha smesso di dare ordine al mondo. Nel mondo disordinato e multipolare, proprio dagli Stati Uniti, già da prima della recente scia di attentati con bersagli di diverso colore politico, è partito il dibattito sulla nuova polarizzazione. Una polarizzazione affettiva, secondo la definizione introdotta per distinguerla dalle forme, tradizionali, di polarizzazione ideologica. Essa fa riferimento ai sentimenti, positivi e negativi, che cementano le identità di gruppo e producono ostilità, se non esplicitamente odio nei confronti di chi appartiene a un gruppo antagonista. Emergono così nuovi “Noi” e nuovi “Loro”: in-group e out-group, indipendentemente dall’esistenza di visioni discordanti su specifiche questioni e sulle politiche per affrontarle.
Potremmo discutere a lungo sui punti appena elencati. Ad esempio, se le contrapposizioni che attraversano gli Usa non contengano elementi di natura ideologica. Quanto nelle divisioni di oggi contino ancora i temi e le risposte: si pensi alla salienza del nodo immigrazione. Se le identità che originano, in questa fase, dal conflitto politico siano più solide di quanto lo fossero 40-50 anni fa. Se, in definitiva, quelli che ci troviamo di fronte siano davvero fenomeni nuovi.
Di certo, diverso è il contesto nel quale prendono forma. Diverso il quadro internazionale. Diverso il paesaggio sociale all’interno dei singoli Paesi. Dove le “parti” confliggono a dispetto della presunta debolezza dei partiti. Dove diversi Noi si compongono (si scompongono) e si scontrano, a dispetto delle rappresentazioni di una società liquida e individualizzata. Coagulandosi, anzi, proprio attorno all’Io di singoli leader che infiammano il dibattito. In questo senso, non sorprende che la nuova (?) polarizzazione abbia come epicentro l’America di Donald Trump.
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