Ue-Russia, l’asimmetria delle armi

Servono i soldi e una coerente determinazione politica. Ed è anche legittimo immaginare di non avere un esercito, come fa l’Islanda. Se però ci si vuole difendere, è meglio guardare insieme al futuro che non baloccarsi col ricordo della forza di un passato che non c’è più

Marco ZatterinMarco Zatterin

La guerra low-cost dello zar Vladimir inquieta l’Occidente. I diciannove droni russi che hanno invaso e colpito «per errore» la Polonia erano aerei fatti di fibra, plastica e alta tecnologia che costano fra gli otto e i diecimila euro l’uno. Per fermarli si sono alzati in volo dei caccia F-35 olandesi e polacchi da 90 milioni di euro a pezzo, avvalendosi del supporto di un aereo spia italiano, di uno cisterna della Nato e di missili Patriot tedeschi (2-4 milioni cadauno).

Il risultato, a seconda delle fonti, è che ne hanno abbattuti da tre a dieci. «Several», è la vaga indicazione del ministero della Difesa dei Paesi Bassi, cioè «numerosi». Non tutti, comunque, e poco se si pensa che gli ucraini intercettano l’80-90 per cento degli apparecchi senza pilota che gli sfrecciano sulla testa lanciati dai generali del Cremlino. Vuol dire che c’è un problema. È che, dopo oltre tre anni di conflitto, le regole di ingaggio sono mutate e da questa parte della contesa non si è proprio all’altezza della situazione.

Varsavia, per istinto, ha chiuso una parte dello spazio aereo e stabilito di schierare quarantamila uomini di forze congiunte alla frontiera con la Bielorussia, stato vassallo di Mosca che non si formalizza certo se i suoi cieli sono solcati dai portatori di morte. Ma non basta. Usare armi che costano milioni contro una minaccia da poche migliaia di dollari a colpo non è evidentemente sostenibile. Viviamo la stagione in cui bombardare costa meno che difendersi.

«È necessario aumentare la dotazione missilistica del 400 per cento», avverte il segretario generale della Nato, Mark Rutte. Oltretutto, fanno notare gli esperti di Difesa (di «Guerra» secondo la dizione trumpiana), la Russia è attualmente in grado di produrre in tre mesi ciò che i Paesi del Patto Atlantico sfornano in un anno. L’asimmetria è evidente, anche perché non basta un tipo di velivolo o razzo: la situazione sui campi di battaglia teorici impone una protezione «a più strati». Se i governi ritengono che la minaccia alla Pace venga da Est, è chiaro che bisogna fare di più.

I sondaggi dicono che l’81% dei cittadini europei è favorevole a una politica comune della Sicurezza. Sul tavolo dei Ventisette ci sono le proposte della Commissione Ue (Readiness 2030) e, in particolare, i 150 miliardi del programma Safe che, in teorica e ragionevolmente, dovrebbero essere indirizzati sul fronte della tecnologia. Se, come pare purtroppo inevitabile, l’Italia e l’Europa devono proteggersi in terra, in cielo e sul mare, si impone uno sforzo congiunto e rapido, in seno alla Nato e non solo. Naturalmente, insieme col volubile Trump, perché il legame di amicizia con Washington non può saltare per colpa di un presidente capriccioso.

Pochi giorni fa i russi hanno inviato 800 droni sui cieli ucraini, operazione da 80-100 milioni di euro, dunque il costo di un F-35. È un volume di orrore sul quale è necessario riflettere attentamente, nella consapevolezza che «il peggio succede». Servono i soldi e una coerente determinazione politica. Ed è anche legittimo immaginare di non avere un esercito, come fa l’Islanda (che per non sbagliarsi è nella Nato). Se però ci si vuole difendere, è meglio guardare insieme al futuro che non baloccarsi col ricordo della forza di un passato che non c’è più. 

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