E’ il momento di un’Europa emancipata

La nuova dottrina sulla sicurezza nazionale americana certifica definitivamente la rottura dell’asse euro-atlantico. O si prende atto della rottura o si resta periferici, scelta rischiosa sul piano della sicurezza

Renzo GuoloRenzo Guolo
Firenze, un gruppo di cittadini statunitensi riuniti in piazza Santa Maria Novella
Firenze, un gruppo di cittadini statunitensi riuniti in piazza Santa Maria Novella

La nuova dottrina sulla sicurezza nazionale americana certifica definitivamente la rottura di quell’asse euro-atlantico che, dal secondo dopoguerra a oggi, ha caratterizzato le relazioni tra le due sponde oceaniche. Tutto questo oggi non esiste più. La rivoluzione trumpiana - perché di questo si tratta, di una rivoluzione, conservatrice ma pur sempre tale -, dopo aver stravolto gli assetti interni, fa tabula rasa sul fronte esterno.

Nella nuova visione del mondo Usa, l’Europa non conta nulla. È ritenuta un agglomerato eroso nella sua civiltà dalla decadenza culturale esito delle sue scelte sull’immigrazione, da ritardi e decisioni in campo tecnologico , bollato come antidemocratico perché penalizzerebbe, anche in campo mediatico, forze affini al movimento Maga. E considerato ostile con le sue regole contrarie agli interessi economici americani, come evidenzierebbe anche la vicenda della X muskiana multata dall’Unione europea.

Un’analisi che , al di là delle parole di circostanza, non ha il fine di spingere l’Europa a cambiare, ma di preparare la fine della storica alleanza. Coerentemente con questa prospettiva, nemmeno la Nato, della quale dal 2027 la Casa Bianca chiede agli europei di assumerne in toto la guida - e, dunque, anche di sostenerla finanziariamente e militarmente- si salva dagli strali a stelle e strisce.

Ora, di fronte a questa esplicita, brutale, dichiarazione di Washington , l’Europa è di fronte a un bivio: o ne prende davvero atto, e si dà progressivamente una struttura politica e di difesa autonoma che le consenta di non essere ridotta a mero spazio commerciale, peraltro destinato a venire fagocitato dalle stesse dinamiche geopolitiche innescate dalla nuova politica della Casa Bianca: vedi apertura alla Russia , e conseguente soluzione gradita a Putin sull’Ucraina, oltre che il volgersi dell'America verso l’Asia e la competizione strategica con la Cina, disinteressandosi, con soddisfazione del Cremlino neoimperiale, di quanto avviene ai confini europei; oppure, continuando a sperare in un’alleanza che non c’è più, accentua ulteriormente la sua impotenza globale, trasformandosi in marginale coacervo di staterelli nazionali , vassalli degli Usa che, di volta in volta, decideranno come servirsene. Una strada che conduce alla completa irrilevanza europea su ogni piano.

Le classi dirigenti del Vecchio Continente, tutte, sono , dunque, davanti alla scelta. O prendono atto della rottura: inutile sperare nella corsa per la prossima presidenza, se a The Donald succedesse l’antieuropeo Vance, sarebbe anche peggio; o, condannano l’Unione a una perifericità oltretutto rischiosa sul piano della sicurezza, in cui ciascun paese, illuso di poter affermare la propria sovranità, cercherebbe la propria relazione speciale con Washington.

Vale anche per l’Italia, che con la guida del suo governo pensa, vanamente, di tenere ancorato il presidente Trump al Belpaese. Non comprendendo che la dissimetria di potere implicita in un simile patto faustiano non verrebbe attenuata da alcuna vicinanza ideologica, interpretata, piuttosto, dal leader Usa come un più facile viatico all’affermazione delle posizioni Usa. 

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