Un nuovo accordo con il sud del mondo

L’interscambio Ue-Usa rappresenta per noi una parte importante di quello complessivo, ma è tempo di muoversi anche verso altri orizzonti, richiedendo all’Europa di giocare da protagonista in questo nuovo quadro internazionale, e questo nell’interesse proprio dai nostri territori

Patrizio Bianchi

Sono state giornate difficili per l’Europa, sottoposta alla clava del presidente americano. L’accordo sui dazi, chiuso nelle stanze delle proprietà scozzesi dello stesso Donald Trump, ha scontentato tutti in Europa, meno ovviamente i fedeli seguaci di un sovranismo d’altri tempi, che oggi deve invece fare i conti con una incursione di campo senza precedenti della presidenza Usa nelle decisioni di Stati autonomi e fino a prova contraria indipendenti.

Oltre a questa balzana imposizione fiscale, definita solo in termini punitivi, l’obbligo di acquistare armi e gas dagli Stati Uniti ed investire in quel Paese, costituisce un vincolo non solo a quel libero mercato, di cui proprio la destra americana si era fatta portatrice, ma anche una entrata a gamba tesa dello Stato – di uno straniero, per giunta - nell’economia di ogni singolo Paese.

Del resto il massimo di questa azione distruttiva di ogni regola internazionale si è vista nell’accordo bilaterale con la Corea del Sud, ove si è imposto a quel Paese –anch’esso storicamente alleato degli Stati Uniti – di investire negli Usa 350 miliardi di dollari, ma larga parte di questi saranno selezionati dallo stesso Trump al di fuori di ogni controllo nazionale ed internazionale.

Di fronte a queste evoluzioni della situazione internazionale, che non riducono ma aggravano l’incertezza internazionale e come già si intravede aprono la strada ad una recessione che colpirà tutto il mondo, compresi gli stessi Stati Uniti, l’Europa deve porsi come punto di stabilità, ritrovando una unità di azione, che superando conflitti e divergenze, non solo risponda a Trump con fermezza, anche ponendo in campo quella web tax che porti le supertech americane a pagare le tasse qui in Europa dove stanno facendo le loro attività ed i loro utili, ma delinei una strategia di lungo periodo con quei blocchi oggi anch’essi vessati dalla manovra elettoralistica trumpiana.

D’altra parte in Europa abbiamo capacità, conoscenze e tecnologie che, poste in condizioni di operare effettivamente insieme sul mercato aperto, possono rappresentare un riferimento per Paesi in crescita che non accettano le restrizione imposte per sostenere una economia come quella statunitense, che proprio per seguire le parole del suo presidente si basa su imprese manifatturiere che non possono competere sul mercato internazionale e quindi debbono essere protette dalla imposizione asimmetrica di dazi a tutti coloro che in questi anni hanno investito in efficienze ed innovazione, mentre dispone di imprese di servizi che eccedono la stessa dimensione del mercato americano e che hanno raggiunto livelli di monopolio mai visti in precedenza.

I Paesi del Mercosur – Argentina, Cile, Uruguay ed il Brasile– dispongono di quelle terre rare che divengono essenziali per la nuova economia, sia digitale che spaziale, così come di mercati interni in crescita, anche se straziati da anni di cattive gestioni.

Partecipando nei giorni scorsi all’incontro dell’osservatorio sulle politiche pubbliche della prestigiosa Fundación Pymes di Buenos Aires, in cui sono presenti i più affermati economisti argentini e sudamericani, ho colto con forza la richiesta di un più deciso intervento europeo per un accordo non solo difensivo verso il nuovo ordine trumpiano, ma in grado di aprire nuovi mercati in quei Paesi emergenti, dal Brasile all’India, dal Vietnam al Sud Africa, che nel loro insieme rappresentano oltre i due terzi degli scambi mondiali.

L’interscambio commerciale tra Ue e Stati Uniti ha infatti rappresentato nel 2024 circa il 30% del totale degli scambi mondiali di beni e servizi, per quasi 1. 680 miliardi di euro, però 867 miliardi di euro erano da attribuire allo scambio di merci, con uno squilibrio a favore dell’Ue, mentre il valore degli scambi di servizi è stato di circa 817 miliardi di euro, tutto a sfavore dell’Unione Europea.

Questo significa che certamente l’interscambio Ue-Usa rappresenta per noi una parte importante di quello complessivo, ma è tempo di muoversi anche verso altri orizzonti, richiedendo all’Europa di giocare da protagonista in questo nuovo quadro internazionale, e questo nell’interesse proprio dai nostri territori, dall’asse Milano-Venezia-Trieste a quello Milano-Bologna, che riuniscono non solo la parte più consistente della nostre imprese manifatturiere, ma anche delle nostre università, per costruire nuovi percorsi di crescita, mantenere aperti quei mercati e quelle vie di cooperazione su cui noi stessi siamo cresciuti in questi difficili anni di globalizzazione.

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