Sull’Ucraina Fontana si smarca da Salvini

Il presidente della Camera, personaggio prudente, poco incline a esporsi, prende posizione: «Io vedo una Russia come un paese che ha fallito completamente questa guerra, non come una grande potenza». Ed è uno strappo rispetto alle affermazioni del segretario

Carlo BertiniCarlo Bertini
Matteo Salvini (a sinistra), ministro dell'Interno, con Lorenzo Fontana
Matteo Salvini (a sinistra), ministro dell'Interno, con Lorenzo Fontana

Qualcosa si muove nella Lega, piccoli scricchiolii sintomatici di un movimento tellurico profondo che potrebbe scuotere la vetta, dove ancora Matteo Salvini pianta la sua bandiera senza vedere rivali intenti alla scalata. Ma non è detto che tutto resti immutato.

L’unità di posizioni sui massimi sistemi tra le cariche dello Stato non dovrebbe fare notizia se non fosse che l’idem sentire sulla Russia tra il presidente della Camera, Lorenzo Fontana, leghista doc e il presidente Sergio Mattarella suoni come un brusco strattone al segretario della Lega.

Applaudito dalla platea del Cremlino per aver ricordato che nelle steppe caucasiche si sono infranti i sogni di Napoleone e Hitler e che non saranno certo i deboli leader europei a spaventare lo zar.

Ma di fronte a uscite salviniane del tipo “io non sto né con la Russia né con l’Ucraina”, perfino il “suo” presidente della Camera, personaggio prudente, poco incline a esporsi, ha sentito il bisogno di intervenire. “Io vedo una Russia come un paese che ha fallito completamente questa guerra, non come una grande potenza”.

Ora, quando solleva il mento uno studioso di Sant’Agostino attento alle virgole per dire la sua con tono insolitamente eretico, significa che c’è più di un malumore cui dar voce. Nel suo partito, ma non solo: nella maggioranza di centrodestra e ancora più in alto.

Che sia proprio il più alto in grado della Lega nel corpo dello Stato a fare il controcanto a Salvini, ha un valore simbolico, specie all’indomani del vibrante discorso di Sergio Mattarella sulle devastanti conseguenze dell’uso della forza per cambiare i confini delle nazioni.

Il “metatesto” indirizzato al Cremlino è: stop, da qui non si passa, le istituzioni italiane sono salde e compatte. Sarebbe improprio azzardare che sia stata una moral suasion del Colle a stimolare questa esternazione.

Meno improprio però immaginare che lo stop di Fontana non dispiaccia al presidente della Repubblica, colpito a più riprese dagli strali del Cremlino. In fondo, sapere che il peso massimo della Lega nelle istituzioni sulle responsabilità della Russia la pensi come Mattarella, può dare l’idea che usare Savini come cavallo di Troia per espugnare la nazione italiana non possa portare lontano.

Ma nelle risposte fornite il 16 dicembre da Fontana alla stampa parlamentare c’è anche più di un messaggio interno: derubricando a esigenze elettorali “i distinguo di ogni forza politica sulle armi e sull’Europa”, perché alla fine la maggioranza nei voti delle mozioni è compatta, equivale a dire che Salvini fa la voce grossa ma si allinea sempre. Non è certo un assist al Capitano alla vigilia di un altro voto contrastato sugli aiuti all’Ucraina.

Dal 16 dicembre dunque nell’asse dei dissidenti che annovera Luca Zaia, Massimiliano Fedriga, i lombardi e molti militanti storici anti-Vannacci, c’è una new entry ufficiale, un peso massimo come il presidente della Camera.

Che tutto ciò porti ad un rovescio di leadership è difficile, il congresso si è già celebrato a maggio; che il progetto di una doppia Lega, regionale e nazionale, si realizzi, è da vedere.

Ma che Salvini rischierà la poltrona se la Lega subisse altre perdite, ormai è nelle cose. In tutto ciò, una notazione a margine: che i due presidenti di Camera e Senato siano contrari a cambiare la legge elettorale non sarà certo di aiuto a Giorgia Meloni per oltrepassare le forche caudine del Parlamento, tra voti segreti e trappole procedurali. Un altro elemento che causerà tensioni nel centrodestra. —

 

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