Trump e Putin, la “pace” che piace solo a loro: l’Europa fuori dai giochi

Un possibile accordo tra Trump e Putin potrebbe portare a un cessate il fuoco in Ucraina, ma rischia di sancire la resa di Kiev e indebolire l’Unione europea

Marco ZatterinMarco Zatterin
Vladimir Putin
Vladimir Putin

Per Trump e Putin la pace è un mezzo, non un fine. L’uomo della Casa Bianca la sogna per dire che l’America ce l’ha fatta e autocandidarsi al Nobel, tanto poco gliene cale se per l’Ucraina verrà la resa dopo i tre anni di guerra e morte seguiti all’aggressione russa. Lo zar del Cremlino potrebbe anche accontentarsi (forse e per adesso) di annettere solo qualche territorio e festeggiare il consolidamento di un utile rapporto di potere e affari con gli States. Entrambi, oltre a un armistizio inevitabilmente fragile, potrebbero assaporare un ulteriore frutto: il crollo delle ambizioni dell’identità politica che detestano di più, l’Unione europea, progetto a cui lavorano da che sono apparsi sulla scena globale. Annunciare un accordo sarebbe il più classico dei «vinco io, vinci tu», tuttavia non è detto che succeda né che possa funzionare. E, in ogni caso, un patto a due imposto ai diretti interessati in absentia sarebbe un calcio, non privo di conseguenze pericolose, all’ordine globale come lo abbiamo conosciuto sinora.

The Donald dà il meglio quando si veste da genio del male. Per cominciare, ha invitato l’omologo russo in Alaska, terra che gli Usa hanno comprato da Mosca nel 1867 per 7,2 milioni di dollari: è un segnale evidente, il pavone che ostenta tutta la coda. In secondo luogo, appare disposto a svendere Kiev per un cessate il fuoco, persuaso che il grosso dell’opinione interna e internazionale non faticherà ad accettare la resa di Zelensky.

Trump pensa quindi che Putin possa portargli un bel po’ di business con metalli rari o criptofinanza, e pure che l’instabilità latente che resterà anche se vi fosse un passo verso la pace, gli permetterà di continuare a vendere armi agli europei.

Il grosso degli analisti valuta che l’imperialista Putin non si fermerà. È dal 2008 che ruba pezzi di casa ai vicini, dalla Georgia alla Crimea. Thierry Burkhard, capo di Stato maggiore francese sino a venti giorni fa, crede che entro il 2030 l’ex armata rossa attaccherà l’Europa. Trump offre una sponda allo zar e, con un’intesa, lo riabiliterebbe quale interlocutore internazionale, circostanza che avrebbe tutti i contorni di una bomba a orologeria. Lo scardinamento del multilateralismo auspicato da The Donald assegna alla Russia un ruolo importante insieme con la Cina. Nella versione di Highlander concepita nello Studio Ovale, non serve che ne rimanga uno solo, basta che siano il meno possibile e con la minor democrazia diffusa.

Per questo l’Europa, portatrice incerta di consenso e diritti, organismo che crede nella pace come obiettivo ultimo del concerto democratico, per i due presidentissimi deve essere fiaccata. Del resto è una missione che i Ventisette hanno cominciato ad assolvere da soli: avrebbero dovuto incontrare loro Putin, ma non c’era intesa fra le capitali e non avevano il giusto messaggero. Adesso pare tardi, per quanto la politica sia l’arte del possibile.

L’Ue è dunque fuori dalla stanza e, se la guerra terminasse in Alaska, pagherebbe la disfatta di Zelensky. Ciò non vuol dire che il destino sia segnato. Donald e Vlad possono fare qualunque cosa, anche litigare; l’Europa dovrebbe farne una sola, cercare di essere fedele ai principi, e alle regole, a cui gli Stati si sono affidati. Nel mondo attuale, rischia di essere un limite. Alla lunga, però, coerenza e coraggio potrebbero pagare.

La lezione della storia, la stessa che gli uomini si rifiutano di imparare, è che i despoti non fanno mai la fine che avevano immaginato. 

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