Il ponte di Messina: tutto annunci e niente fatti

Ci si dimentica di ricordare che l’opera è già costata di sole parole un miliardo 200 milioni, tra studi e spese di gestione

Francesco JoriFrancesco Jori
Il ministro dei Trasporti e delle Infrastrutture Matteo Salvini a Messina
Il ministro dei Trasporti e delle Infrastrutture Matteo Salvini a Messina

Il Ponte dei Raggiri. Se a Venezia quello dei Sospiri è un’attrattiva mondiale, la variante di Messina rischia di trasformarsi in gogna planetaria; fin dall’annuncio proclamato con fragoroso rullo di tamburi, ma che si basa su un bluff di cartapesta. I cantieri partiranno in autunno, garantisce Salvini: ma quali?

Al massimo, le reti di recinzione e i regolamentari cartelli con le specifiche dei lavori: perché il progetto esecutivo è ancora tutto da scrivere; e senza quello non si può mettere mano neppure a un badile. Altro imbroglio: nulla si dice dei costi di manutenzione che, una volta realizzata l’opera, comporterebbero una spesa di 3 miliardi l’anno. Infine, il silenzio più assordante: ci si dimentica di ricordare che l’opera è già costata di sole parole un miliardo 200 milioni, tra studi e spese di gestione.

È la scandalosa ricaduta di una stucchevole storia infinita, trascinata dai Borboni a Berlusconi, in una sequenza di promesse solenni giunte da leader dell’intero arco politico, da destra a sinistra, dalla prima alla seconda Repubblica (Cossiga, Craxi, Andreotti, Prodi, Rutelli, Berlusconi, Renzi, Tajani, alcuni dei quali cambiando idea, Salvini in testa); e sistematicamente cadute nel vuoto. Per limitarsi al progetto oggi messo in campo, basterà dire che i prodromi risalgono agli anni Settanta del secolo scorso; oggi recuperato, riveduto e corretto, incluso l’ennesimo raggiro per trovare una scorciatoia di comodo, e cioè la possibile destinazione militare a beneficio della Nato... trascurando l’elementare fatto che un singolo carro armato, una volta raggiunto l’accesso al ponte, si troverebbe con la guerra già conclusa da anni, causa lo stato delle infrastrutture per arrivarci.

Non c’è bisogno peraltro di provarci con un mezzo militare: bastano i normali calvari di milioni di viaggiatori; sia che provino a cimentarsi su un’autostrada Salerno-Reggio Calabria afflitta da pluridecennali cantieri infiniti; sia che ricorrano al treno, in attesa della chimera del completamento di un’alta velocità alla quale mancano 17 miliardi di finanziamenti.

E anche una volta approdati al mitico ponte e riusciti a sbarcare in Sicilia in una manciata di minuti, si troverebbero di fronte alla realtà terzomondista di strade incompiute, e di treni che per collegare Palermo con Catania (200 chilometri) oggi ci impiegano tre ore, e per andare da Trapani a Ragusa addirittura tredici. In compenso, si calcola di spendere per il ponte dei Raggiri 13 miliardi e mezzo: a oggi, s’intende, perché se e quando sarà completato (nel 2033, secondo i calcoli), chissà quale sarà il saldo da mettere in conto.

Uno spreco cosmico, denunciano dal nord voci reiterate, comprese molte interne alla Lega. Matteo Salvini replica vantandosi di far felici le imprese, ma quali? Una intanto, di sicuro: la mafia, che non mancherà di cercare di concorrere ai dividendi, grazie alla sua indiscussa professionalità in materia; rischio contro il quale la Direzione Investigativa Antimafia mette in guardia fin dal 2005. Poco o nulla interessa a un Salvini che a quel ministero dei Trasporti cui è preposto si dedica part-time, e quasi con fastidio, preferendo dividersi tra ministro-ombra degli Interni, occasionalmente premier mascherato, h24 kapatàz di una Lega a sua immagine e somiglianza. I fatti per lui sono un optional: l’importante è esternare a oltranza.

«Abbiamo rimesso in moto il Paese», si è vantato anche in un’intervista. Sì; ma per trovarsi subito dopo in implacabile incolonnamento, tra treni in ritardo, calvari stradali e cantieri infiniti. Tutti in coda, disperatamente. 

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