La sinistra costretta a lodare Trump
L’epilogo beffardo di una pace conquistata dal nemico che se ne fa giustamente vanto brucia, specie una manciata di giorni dopo che tutto il “campo largo” si è ingarbugliato in un gioco di “astensioni incrociate” su un piano di pace che alla fine però è andato a dama


Il tonico per una narrazione dai toni crepuscolari può arrivare dall’atteso triplete dei candidati di centrosinistra in Toscana, Puglia e Campania ma verrà superato da altre docce fredde in Veneto e su altri fronti. Il più “doloroso” di questi, politicamente parlando, al di là del giubilo per il popolo palestinese, è la pace portata ai gazawi dai nemici della destra.
Quindi davvero forse sarebbe il caso che ora i leader della sinistra italiana si dedichino allo studio di quattro temi concreti, tasse, salari, sanità, industria pulita, per stilare uno straccio di programma. Davvero Matteo Renzi, come annunciato in tivù, farebbe bene a dare spago a Giuseppe Conte che ha lanciato questa idea, magari trascinandosi dietro a questo fantomatico tavolo anche qualche altro cespuglio centrista per dare più corpo alla sua vagheggiata “casa riformista”.
Così almeno trascinerebbero la povera Elly Schlein fuori dal fuoco amico del Pd, che la sta investendo di pallottole per i flop collezionati su tutti i fronti, ultimo quello delle piazze pro-Gaza a rimorchio delle anime belle che non le hanno regalato un voto, ma solo chili di sale sulle ferite.
L’epilogo beffardo di una pace conquistata dal nemico che se ne fa giustamente vanto brucia, specie una manciata di giorni dopo che tutto il “campo largo” si è ingarbugliato in un gioco di “astensioni incrociate” su un piano di pace stra-criticato, che alla fine però è andato a dama.
E se non scende a terra occupandosi dei temi primari, nominando a breve pure un comandante in campo, se la sinistra non depone gli striscioni per mettere nella bisaccia armi contro la destra trionfante, questa compagine che vorrebbe essere di governo non andrà da nessuna parte. Anche perché a mancarle è pure un elemento non trascurabile, il fattore volgarmente detto C. che noi pudicamente chiameremo “Fattore F, ovvero fortuna”.
Ma il 6 gennaio del 2021, quando il miliardario offeso per aver perso le elezioni fece occupare Capitol Hill sfregiando il tempio della democrazia americana celebrata da Tocqueville, quale leader di sinistra avrebbe scommesso che quattro anni dopo sarebbe stato costretto a celebrare l’odiato Trump come salvatore della pace? E che avrebbe dovuto ammainare una delle bandiere più unificanti dell’universo woke in tutte le latitudini? La forza del destino sgonfia come un soufflè riuscito male la guerra politica, morale ed etica contro il tycoon, un sentiment che ha accomunato tutti i progressisti del mondo verso un presidente Usa bacchettato pure dal Papa per le deportazioni di profughi, disprezzato per le sue intemperanze contro gay e minoranze, per le persecuzioni alla stampa libera e via dicendo.
Un personaggio che forse anche in virtù di una sfrenata megalomania (e di un senso per gli affari tanto vituperato) ha strappato un risultato impensabile fino a ieri: usando con crudo realismo bastone e carota, piegando le durezze dei due nemici storici sullo scacchiere mediorientale.
Certo, magari Donald non strapperà l’agognato Nobel per la pace, tanto per dire anche nell’Italia meloniana glielo assegnerebbe solo uno su dieci. Magari il suo piano si sgretolerà contro il muro eretto dai sabotatori di ogni colore e religione, ma senza guardare la luna, ovvero l’insondabile sviluppo degli eventi, il dito oggi indica un arcobaleno di pace dopo anni di tempesta. Che purtroppo la tanto amata Europa non ha contribuito in alcun modo a far spuntare in cielo, tanto per citare un altro brutto colpo al mondo progressista.
Dunque, la sinistra ha dovuto sotterrare l’ascia di guerra, non ha più un nemico in questo momento e in politica ciò costituisce un serio problema. E caro gli costa ammainare questa bandiera. Caro costa ai progressisti italiani, che non potranno più pompare la Francesca Albanese che dispensa perdoni a chi non la pensa giusta, che non potranno più accodarsi ad una Cgil che sdogana gli striscioni pro-Pal “dalla terra al mare” che inneggiano alla scomparsa di Israele.
No, da oggi il Pd non ha più scuse, deve ripiantare le sue travi nel terreno della politica per non veder crollare tutta la sua impalcatura, perché di segnali ne ha già ricevuti troppi: il suo stato maggiore deve farsi aiutare da quei dem che alla Camera avrebbero votato per il “primo passo positivo” rappresentato dal piano Trump-Netanyahu-paesi arabi, la leader farebbe cosa saggia ad accettare i consigli di chi ha più esperienza delle cose del mondo, perché così facendo porta la nave sugli scogli.
E se non raddrizza la rotta, finisce che alle primarie per la premiership molti dei simpatizzanti Pd voteranno magari l’altra donna, quella Silvia Salis classe '85, che verrà trascinata a forza nei gazebo – c’è da scommetterci – da quel volpone di Renzi. Con buona pace di chi si aspetta uno scontro a due Schlein-Conte, entrambi piuttosto ammaccati dal destino crudele.
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