Trump vive nell'età dell'ora

Il futuro disegnato dal Presidente promette il ritorno a un passato radioso. Ma il vero protagonista della stagione trumpiana è il tempo presente

Fabio BordignonFabio Bordignon
Donald Trump
Donald Trump

"L'età dell'oro" dell'America inizia proprio ora: con questa formula Donald Trump ha aperto (e chiuso) il suo discorso di re-insediamento alla Casa Bianca.

Il futuro disegnato dal Presidente promette il ritorno a un passato radioso. Ma il vero protagonista della stagione trumpiana è il tempo presente.

Più che un'utopia, come noto, i populisti delineano spesso una retrotopia. Trump non fa eccezione. Anzi, è maestro di questo genere. Back e Again sono, non a caso, tra le parole più ricorrenti nella sua retorica.

Basta seguire la linea del suo discorso. Il presidente è tornato per restituire agli americani il sogno americano. Ripristinerà sicurezza e pace, giustizia e libertà di parola. Gli immigrati torneranno a casa, Panama tornerà agli Stati Uniti e i generi torneranno a essere due (maschio e femmina). Il paese avrà di nuovo un esercito forte e costruirà di nuovo auto.

Sarà nuovamente ricco, rispettato, e naturalmente grande (come suggerito dal mantra MAGA: Make America Great Again).

Trump intraprende un secondo mandato e già, secondo alcuni, ne immagina un terzo. Oltre i vincoli costituzioni, oltre i checks and balances della democrazia liberale. Ma in realtà guarda ancora al primo term: al suo epilogo e al tentativo dell'amministrazione democratica di cancellare il suo (primo) passaggio da Washington. Del resto, la culture war americana è ormai combattuta a colpi di cancellazioni e contro-cancellazioni.

Così come la rivoluzione del tycoon è, in realtà, una contro-contro-rivoluzione, una liberazione che sa di vendetta, che traveste da restituzione di un passato glorioso la più radicale rottura con la tradizione della democrazia americana. I toni mistici e messianici – "la mia vita è stata salvata per un motivo" – proiettano la svolta in un tempo indefinito.

L'orizzonte di quattro anni si schiaccia sui primi cento giorni e, infine, sul day one. Nel quale la raffica di ordini esecutivi si mescola agli annunci shock degli ultimi mesi, rendendo indistinguibili gli uni dagli altri. Milioni di migranti sono già stati rimpatriati? Washington si è ritirata dall'OMS e dagli accordi di Parigi? Panama e la Groenlandia sono nuovi stati Usa? Mari e monti sono stati rinominati? La guerra in Ucraina è davvero finita o destinata a concludersi in pochi giorni?

Quel che conta è l'effetto sull'opinione pubblica. Trasmettere il senso di emergenza. Perché l'emergenza richiede azione immediata, o almeno il suo annuncio.

Gli imperativi di oggi – crescita, lotta all'inflazione e costo dell'energia – spingono a mettere da parte gli obiettivi di medio e lungo periodo. Poco importa se Los Angeles brucia.

Il cambiamento climatico – ammesso che esista davvero – può aspettare. L'industria americana non può che essere spinta dai combustibili tradizionali. Ed ecco pronto l'ennesimo slogan recuperato dal passato ma perfetto per il tempo presente: trivella, baby, trivella.

Lo specchietto retrovisore di un passato mitizzato e il telescopio puntato su Marte, in fondo, si annullano reciprocamente. Lasciando come unica soluzione un pragmatico qui e o ra. In attesa dell'età dell'oro promessa dal Presidente-messia, l'America di Trump vive ancora nell'età dell'ora.

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