Trump e Xi, così si stringe la tenaglia dei due colossi
I due leader sono apparsi consapevoli che il litigio non genera benefici, soprattutto per due potenze che hanno bisogno di mercati sui quali far correre le merci per continuare a essere ricche

«Il voto è 12 su base 10», se la ride l’Imprevedibile dopo aver incontrato l’Assertivo. Donald Trump e Xi Jinping si sono intesi su alcuni punti cruciali, dal flusso delle terre rare alla compravendita dei chip, e hanno siglato una tregua che non è una pace, ma che rappresenta il primo stadio di una più ampia collaborazione di largo respiro fra Usa e Cina che può riscrivere gli equilibri geopolitici planetari.
Per l’Unione europea la mezza buona notizia è che la prospettiva di una guerra commerciale globale sembra venir meno.
Tuttavia, più Washington e Pechino si avvicineranno a un G2, più i Ventisette rischieranno di essere tagliati fuori dai grandi assetti, così non c’è scelta: bisogna cavalcare la tigre e impegnarsi con serietà per l’autonomia strategica, cominciando dal sostenere l’industria innovativa continentale per ridurre il più possibile la dipendenza dalle materie prime del lontano Oriente.
Il contatto fra il presidente Usa e quello dell’ex celeste impero, il primo dal 2019, «ha raggiunto un consenso di base sulle nostre principali preoccupazioni», assicura Xi, persuaso di essersi focalizzato, insieme col vecchio amico Donald, «sui benefici della cooperazione senza cadere nel circolo vizioso del batti e ribatti».
I due leader sono apparsi consapevoli che litigare non genera benefici, soprattutto per due potenze che hanno bisogno di mercati sui quali far correre le merci per continuare a essere ricche.
Così il blocco di Pechino sull’export delle materie rare - i minerali necessari per la tecnologia e l’elettronica di consumo (come lantanio, cerio e ittrio) - pare superato da un patto annuale che per gli States è rinnovabile. Analogo lo scavalcamento graduale della pressione doganale.
Trump ha comunicato il dimezzamento (da 20 a 10%) della componente di scambi congelata in nome alla lotta al fentanyl, la cosiddetta “droga degli zombie”, oppioide sintetico 50 volte più micidiale dell’eroina. In parallelo, si è discussa l’apertura dell’acquisto dei chip di Nvidia da parte cinese, ed è ripresa la vendita di soia americana dopo due mesi.
Secondo The Donald «si è parlato a lungo» di Ucraina, dossier sul quale il ruolo di Xi potrebbe essere cruciale. «Dobbiamo assumerci le nostre responsabilità», ha ammiccato Xi. Tuttavia, non c’è conferma che si sia disquisito delle mire di Pechino su Taiwan, silenzio che alimenta l’inquietante timore che la Casa Bianca possa in futuro tollerare un attacco a Taipei.
È evidente che la lunga marcia dei due presidenti, che si rivedranno in primavera, ha come traguardo la creazione di un sistema in prevalenza bilaterale per la governance del Pianeta. Ci vorrà tempo, non sarà semplice. Molto dipende dall’India, mentre l’Europa deve mettersi al vento e vedere dove può arrivare. La natura di piazza da 300 milioni di consumatori la tiene al tavolo nonostante la debolezza politica dovuta alla polarizzazione delle relazioni fra le capitali.
Non è la stagione del muso duro, bensì di diplomazia e capacità commerciale. Il mondo sta cambiando. Chiudere intese sulle materie prime con altri Paesi sarebbe un segnale di resistenza. Arrendersi a una manifesta debolezza relativa condurrebbe alla sconfitta.
L’Ue ha ancora un pezzo di destino nelle sue mani, anche se ogni nuovo litigio nel condominio di Bruxelles intacca le possibilità di restare in gioco. Chiaro che il momento della reazione è subito. Perché quello dell’ininfluenza a dodici stelle si avvicina a grandi passi.
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