Il terrorismo fa paura quando è silenzioso

L’attentato di Sydney, nella sua tragicità, mostra alcuni tratti dell’evoluzione della minaccia prevedibili e che dovrebbero preoccuparci

Valentine LomelliniValentine Lomellini
La veglia per le vittime della strage di Sydney
La veglia per le vittime della strage di Sydney

Ancora l’ISIS. O, in ogni caso, ancora terrorismo islamista. È di domenica l’attacco al Bondi Beach, a Sydney, in Australia. La tragica contabilità delle vittime è di 15 caduti, fra i quali una bambina di 10 anni, Matilda, e il sopravvissuto all'Olocausto Alex Kleytman. Gli uomini armati, padre e figlio, rispondono al nome di Sajid e Naveed Akram, residente vivevano a Bonnyrigg, nel New South Wales.

Un attentato che pare uscito dal nulla, dopo il lungo silenzio a cui – fortunatamente – ci ha abituato di recente l’ISIS. In realtà, un attentato che – nella sua tragicità – mostra alcuni tratti dell’evoluzione della minaccia prevedibili e che dovrebbero preoccuparci.

"Mai visto nulla di cosi' terrificante", le voci da Bondi Beach

In primo luogo, l’obiettivo dell’attacco è di chiara ispirazione antisemita. Da quando Israele ha sviluppato la sua pesante azione militare nei confronti di Gaza, l’antisemitismo è tornato a serpeggiare e, da minaccia strisciante, sta assumendo sempre più contorni chiari.

Non è un caso che una parte consistente dei finanziamenti destinati alla progettualità europea nelle ricerche sociali e storiche si sia focalizzata, negli ultimi bandi, proprio sul contrasto all’antisemitismo.

Il problema non è solo il terrorismo islamista ma anche – e talvolta soprattutto – quello di estrema destra, che ha trovato nella posizione di Israele una ragione ritenuta presentabile per rinfocolare sentimenti mai realmente sopiti in alcuni strati della popolazione europea.

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In secondo luogo, l’affiliazione dei due attentatori. Le notizie provenienti dagli apparati di pubblica sicurezza sottolineano l’adesione di padre e figlio allo Stato islamico: entrambi avevano giurato fedeltà all’ISIS, sebbene il primo ministro australiano Anthony Albanese abbia sottolineato che la loro motivazione era orientata da una più generale “ideologia estremista”. In ogni caso, la loro radicalizzazione sarebbe stata inserita in un contesto preciso a differenza degli attentatori dell’ultimo periodo, i cosiddetti “lupi solitari”, ispirati ma non direttamente correlati ad organizzazioni.

E, infine, il terzo punto: l’utilizzo delle armi porta proprio a pensare ad una cellula più organizzata. A differenza, infatti, degli attacchi degli ultimi anni, al Bondi Beach non sono stati utilizzati strumenti di fortuna ma vere e proprie armi che i due attentatori hanno potuto reperire, trasportare ed utilizzare.

Naveed era stato segnalato alle autorità australiane nel 2019. Tuttavia, nessuna precauzione era stata assunta: le valutazioni prodotte sul suo conto avevano concluso che “non vi erano indicazioni di una minaccia imminente o di un suo coinvolgimento in atti di violenza”. Una situazione che evidentemente è cambiata nel corso del tempo.

I tragici fatti di domenica insegnano alle autorità di pubblica sicurezza un fatto che agli esperti è noto da tempo: l’ISIS non è scomparso, le sue attività si sono solo delocalizzate.

E il terrorismo è un fenomeno che si afferma ad ondate: la fase del silenzio non è meno pericolosa di quella dell’attacco.

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