Servono pene più severe per i truffatori

Il magistrato De Nicolo: “Voglio sottolineare l’obiettiva modestia del trattamento punitivo riservato dalla legge al reato di truffa. L’ipotesi base è infatti sanzionata con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da 51 a 1.032 euro, è procedibile solo a querela della persona offesa, non consente l’adozione di misure restrittive se non in caso di arresto in flagranza, situazione rarissima”

Antonio De Nicolo*

La truffa è un reato evergreen: non passa mai di moda. Se ne commettevano molte quarantacinque anni fa quando ero all’inizio della mia esperienza giudiziaria; se ne commettono molte pure oggi, in cui si assiste ad un fiorire di modalità sempre più insidiose, di regola con l’uso del telefono cellulare e delle risorse di Internet. In passato la truffa implicava normalmente un contatto di persona, nel corso del quale il truffatore cercava di sorprendere la buona fede della sua vittima magnificandogli la bontà di un certo affare.

Ad esempio, la necessità del cambio immediato di una somma in contanti con banconote aventi un valore molto inferiore, di cui il truffatore diceva di accontentarsi avendone bisogno con estrema urgenza: ovviamente, effettuato lo scambio, le banconote rimaste in mano al malcapitato erano tutte, o quasi tutte, false.

La truffa però veniva architettata pure in modi più ingegnosi: ricordo un intraprendente triestino che leggendo con attenzione gli annunci mortuari individuava la sua vittima, a cui scriveva fingendo d’ignorarne il decesso e richiedendogli garbatamente la restituzione di un prestito asseritamente ricevuto qualche anno prima: talvolta è accaduto che i familiari, letta la missiva, pagassero la somma richiesta dal creditore fasullo, temendo altrimenti d’intaccare il buon nome del loro caro estinto.

Oggi le modalità truffaldine sono assai diversificate: ad esempio, la telefonata che preannuncia un incidente stradale occorso ad un proprio familiare, per salvare il quale è necessario versare subito del danaro ad un complice che si presenta all’uscio di casa fingendosi avvocato o carabiniere; oppure l’offerta telefonica di investimenti a condizioni mirabolanti, a cui il malcapitato abbocca dapprima bonificando somme modeste per saggiare la bontà della proposta, e poi versando importi sempre maggiori, ma finendo invariabilmente per perdere tutto; o ancora la richiesta telefonica da parte del sedicente funzionario della propria banca, che raccomanda con motivazioni varie lo spostamento immediato di fondi dall’usuale conto corrente ad un altro conto “più sicuro”.

Tutte queste modalità ed altre ancora sono oggi rese più insidiose dall’uso dell’intelligenza artificiale. Le Forze dell’ordine periodicamente informano con encomiabile zelo i cittadini di tali eventi e formulano preziosi suggerimenti per non abboccarvi: eppure queste manifestazioni criminose non accennano a diminuire. Va sottolineato che le vittime non sono costituite solo da persone anziane colte in un momento di fragilità o da giovanissimi che vi cascano per inesperienza; ma anche da adulti di normale discernimento.

Non intendo qui aggiungere altri consigli a quelli ripetutamente forniti dalle Forze dell’ordine, se non per raccomandare sempre un eccesso di prudenza: il sedicente dipendente bancario o l’investitore miracoloso non vanno mai accontentati al telefono e va loro detto invece che si vuole incontrarli presso i loro uffici (e a questo punto di solito la telefonata si interrompe); l’interlocutore con la voce del proprio parente va verificato con domande cui solo il vero parente saprebbe rispondere.

Ciò che qui vorrei sottolineare è l’obiettiva modestia del trattamento punitivo riservato dalla legge al reato di truffa. L’ipotesi base è infatti sanzionata con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da 51 a 1.032 euro; è procedibile solo a querela della persona offesa; non consente l’adozione di misure restrittive se non in caso di arresto in flagranza, situazione che di fatto è rarissima.

É vero che la presenza di alcune circostanze aggravanti esclude la necessità della querela e consente di infliggere una pena più consistente: tuttavia nemmeno nelle ipotesi aggravate vengono di solito applicate misure cautelari, stante l’enorme sfavore di cui le circonda il nostro sistema processuale, tanto più ora nella vigenza di una delle recenti riforme volute dal ministro Nordio.

Oggi infatti, se l’esigenza cautelare è quella di evitare la commissione di reati analoghi (come accade per la truffa, tipico reato seriale che viene ripetuto con sempre nuove vittime, almeno fino a quando l’autore non venga arrestato), è vietata l’applicazione di ordinanze restrittive se non dopo che l’indagato sia stato avvertito ed interrogato, rimanendo nel frattempo libero.

E non basta. Quando finalmente, dopo tre gradi di giudizio, la truffa è stata accertata con sentenza definitiva e la relativa pena deve essere eseguita, se questa è inferiore a quattro anni di reclusione, il condannato non può essere incarcerato ma ha diritto a chiedere al Tribunale di Sorveglianza misure alternative al carcere, rimanendo sempre in libertà.

Ebbene i Tribunali di Sorveglianza, afflitti da costanti scoperture d’organico e da arretrati cospicui, decidono tali istanze di solito dopo vari mesi e cercano comunque di privilegiare le misure alternative, onde non gravare sulla stabilmente drammatica situazione di sovraffollamento carcerario, a cui i governi di ogni colore evitano di porre il solo rimedio strutturale: aumentare il numero delle carceri.

Con piglio ben diverso altri Stati europei considerano le truffe come condotte gravemente antisociali e le sanzionano di conseguenza: ricordo, ad esempio, che circa quaranta anni fa, quando ero all’inizio della mia carriera giudiziaria, m’imbattei nel certificato penale di un italiano incensurato che era stato condannato per truffa da un giudice austriaco alla sonora pena di tre anni di reclusione, interamente scontata.

Mi chiedo allora se nei confronti dei truffatori seriali sia auspicabile una maggiore severità normativa sotto i tre profili ora accennati (penale, processuale e penitenziario), per infrenarne la propensione a delinquere. 

*Ex procuratore capo di Udine e Trieste

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