Se una Flotilla ci scuote dal sonno
L’esperienza della Flotilla può servire a scuoterci dalla passività alla quale sembriamo ormai destinati

L’episodio della cosiddetta Flotilla ci apre comunque un orizzonte. Non è l’unico ma il più evidente: ci fa capire che accanto alla politica, così come di solito la intendiamo, si possono produrre delle esperienze, che magari consideriamo marginali e perfino disturbanti, ma che meritano un’attenzione particolare perché ci permettono uno sguardo critico e, in certo modo, liberatorio.
Questo vale anche per alcune manifestazioni di piazza, quelle che non hanno bisogno di una bandiera e di una identificazione politica precisa, che ci riconduca a un gruppo determinato, a una “ideologia” strutturata. È accaduto di recente anche in Italia: e sul palco sono saliti a parlare non dei funzionari ma dei cittadini impegnati a diffondere e a discutere idee di progresso e proposte di rilancio della democrazia. La parola democrazia suona spesso come una parola vuota che il rappresentante politico non riesce quasi mai a riempire di senso e si limita a ripeterla con formule che quasi mai producono un effettivo ascolto. È difficile negare che sta verificandosi, per tanti motivi, un’attenuazione dell’ascolto del discorso specificamente politico, anche se a parlare è qualcuno al quale daremo il nostro voto.
Sono troppo pessimista? Può essere, ma vorrei che il lettore riuscisse a indicare, a me e a tutti quelli che stanno leggendo queste righe, con quali argomenti ed esperienze possiamo tentare di alimentare una qualche forma di ottimismo. Il termine “irresponsabilità” è risuonato spesso a proposito del caso della Flotilla. Ogni volta che mi è tornato all’orecchio ho pensato: ma in che cosa consisterebbe la “responsabilità”? Nell’evitare di combinare guai politici? Nello stare dentro il proprio guscio, rispettando i gusci degli altri? Nel trovare ogni volta buoni motivi per starsene fermi a respirare l’aria inquinata che tira? E se, invece, volessimo spazzar via l’aria cattiva e tentassimo di respirare davvero ogni tanto?
La questione può forse sintetizzarsi in una domanda: la politica attuale ci permette un simile respiro? Sta circolando da qualche parte una pratica della “democrazia” che non si rinchiuda, quasi subito, in un’ideologia più o meno soffocante? C’è in circolazione qualcosa che davvero ci accomuna, facendoci stare assieme con tutte le nostre differenze? Se ci sembra che qualche episodio possa rispondere di sì a una simile domanda, non dobbiamo ignorarlo e guardare dall’altra parte: dovremmo, piuttosto, fermarci a riflettere. E se fosse proprio questa la “responsabilità” che ci manca, la risposta che cerchiamo alla domanda che urge dentro di noi (una domanda non così lontana dal classico “Che fare?”)?
La pratica della politica, che circola qui da noi ma un po’ dovunque, è sempre più deludente: chiamiamola “sovranismo”, questa tendenza ad annullare i tempi e i modi di un’effettiva democrazia, comunque la democrazia sembra risultare, un po’ dovunque, qualcosa che fa inciampare la politica e la sua esigenza di bruciare i tempi e di abbassare il profilo di ciò che chiamiamo “popolo”: nessuna soggettività da riconoscere, solo una specie di gregge da tenere buono. La politica, con cui vorremmo riempire di concretezza questa parola che ripetiamo ormai meccanicamente, è come se l’avessimo sospesa, interrotta o comunque messa da parte, come sta accadendo a tutto quanto indicavamo con le parole “democrazia”, “popolo” e perfino “società”. Quanto a termini come “soggetto” e “soggettività”, sembra quasi che abbiano perso per noi qualunque senso davvero utilizzabile e siano, per ora, usciti dal dizionario. Forse è a causa di una simile messa in mora che abbiamo osservato dubbiosi l’esperienza della Flotilla, aggiungendo al dubbio la preoccupazione per gli esiti di questa piccola impresa.
A me pare, invece, che quando un gesto si mette di traverso rispetto al tran tran che ci sta seppellendo nella convinzione di un “non c’è niente da fare” paralizzante, non possiamo limitarci a guardarlo con un sorriso, magari con l’aggiunta del timore che produca qualche disastro.
Se accettiamo che la “politica” possa venire sospesa, anche solo momentaneamente, vorrebbe dire che ci resta solo una capacità di critica e di autocritica. Piccola, però rimane, e forse silenziosamente ci crediamo. L’esperienza della Flotilla, come altre che riescano un poco a svegliarci dal sonno di un “non possiamo fare nulla per cambiare le cose”, può servire appunto a scuoterci dalla passività alla quale sembriamo ormai destinati. —
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