La scuola non ignori l’orrore di Gaza: serve guardare al presente con occhi vigili

Studenti e insegnanti devono arrivare pronte alla Giornata della memoria, che è anche un giorno di responsabilità. Come ammoniva Primo Levi sulla Shoah: «È accaduto, quindi può accadere di nuovo»

Gianni Moriani*
Palestinesi in strada dopo un attacco aereo di Israele a un edificio residenziale di Gaza City
Palestinesi in strada dopo un attacco aereo di Israele a un edificio residenziale di Gaza City

Gli studenti, che iniziano la scuola in questi giorni, non potranno evitare di confrontarsi con l’abominevole disumanità che, dopo la Shoah, si è ripresentata in terra di Gaza per mano di un governo alla guida del popolo un tempo vittima di quel genocidio. Sarà importante discuterne approfonditamente, anche per non trovarsi impreparati a gennaio 2026. Infatti, nel Giorno della Memoria (27 gennaio), il mondo si ferma per commemorare le vittime della Shoah: sei milioni di ebrei sterminati dal nazismo in uno dei passaggi più atroci della storia umana.

È un giorno solenne, istituito non solo per ricordare i morti, ma anche per interrogare i vivi. È un giorno di Memoria, certo, ma anche di responsabilità. Sopravvissuto ad Auschwitz, Primo Levi ammoniva con parole che oggi risuonano più forti che mai: «È avvenuto, quindi può accadere di nuovo».

Questa frase non è solo una lezione storica. È un avvertimento. Levi ci chiedeva di guardare il presente con occhi vigili, senza cedere alla comoda illusione che certi orrori appartengano al passato. Il Giorno della Memoria venne istituito anche per sviluppare gli strumenti morali e politici al fine di riconoscere e denunciare, ovunque si manifestino, i segni del disumano.

Alla commemorazione della Shoah, il prossimo gennaio, non si potrà arrivare ignorando le sofferenze dei palestinesi di Gaza. Da mesi migliaia di civili palestinesi — bimbi, donne, anziani — stanno morendo sotto i bombardamenti israeliani, intrappolati in un territorio assediato, senz’acqua, cibo, medicine, riparo. Interi quartieri sono rasi al suolo. Ospedali colpiti, aiuti umanitari ostacolati. Le parole usate dalle principali organizzazioni per i diritti umani, come Human Rights Watch o Amnesty International, parlano chiaro: crimini di guerra, punizione collettiva, genocidio che hanno fatto 53.000 vittime, l’83% delle quali civili, 18.000 bimbi.

Parlare di Gaza, in vista e nel Giorno della Memoria non è né sarà un gesto di provocazione, ma un atto di fedeltà alla memoria stessa. La Memoria, se è autentica, non può essere selettiva. Non può chiudere gli occhi davanti all'ingiustizia, solo perché compiuta da chi un tempo è stato vittima. Non si tratta di fare paragoni storici forzati tra la Shoah e l’urbicidio/genocidio progettato e attuato dal governo Netanyahu a Gaza, che peraltro sta rinfocolando l’odio contro gli ebrei, vanificando tutto il lavoro svolto in questi anni per contrastarlo.

La Shoah è contrassegnata da un suo peculiare scientifico orrore, ma il meccanismo del genocidio - la disumanizzazione dell’altro, la logica dell’annientamento - può ripresentarsi sotto altre micidiali forme come accaduto in Cambogia, Ruanda, Srebrenica e ora a Gaza. E quando questo avviene, il silenzio degli altri è sempre parte del problema, fino a sfociare in connivenza.

Chi oggi ha davvero a cuore la memoria della Shoah dovrebbe essere in prima linea nel denunciare ogni massacro, ogni discriminazione, ogni logica di oppressione sistematica, ovunque e chiunque la eserciti. In nome dei morti di ieri, per proteggere i vivi di oggi e di domani.

Ricordare la Shoah e guardare a Gaza non significa confondere le responsabilità storiche, ma riaffermare un principio universale: la vita umana non ha confini etnici, religiosi o nazionali. Ogni popolo ha diritto alla dignità, alla sicurezza, alla libertà. Nessuno può essere condannato all’annientamento.

Nell’Antigone, già in pieno V secolo a.C., Sofocle avvertiva che «molte sono le cose terribili, ma nessuna è più terribile dell’uomo». L’uomo è capace di dominare la natura, navigare i mari, piegare la terra, addomesticare gli animali... eppure, non riesce a dominare se stesso, le proprie leggi interiori, l’arroganza, la sete di potere. Sofocle non glorificava ingenuamente l’umanità, ma ci metteva in guardia, perché l’uomo è deinós, parola greca ambivalente, che può significare “terribile”, “spaventoso”, ma anche “formidabile”, “meraviglioso”.

L’essere umano è dunque capace del massimo e del minimo, di procedere verso il progresso o verso la rovina. Quest’ultima è la strada che sta sciaguratamente percorrendo Benjamin Netanyahu.

Proprio perché l’uomo è deinós, da qui al Giorno della Memoria, e anche dopo, il silenzio sarebbe una colpa. Primo Levi diceva: «Se comprendere è impossibile, conoscere è necessario». Intendendo dire che gli orrori consumati in un genocidio vanno oltre i limiti dell’immaginazione e della morale comune. Nonostante ciò e a maggior ragione dobbiamo conoscere i fatti, studiarli, ascoltare le testimonianza, non dimenticare.

La conoscenza storica e critica costituisce un antidoto contro la ripetizione del male radicale. E oggi, conoscere ciò che accade a Gaza è un dovere. Perché è successo. E può accadere di nuovo. Anzi, sta accadendo nuovamente adesso.

La memoria della Shoah merita profondità; allo stesso modo, la sofferenza del popolo palestinese richiede giustizia, attenzione e un impegno concreto per porvi fine.

 

Gianni Moriani è autore di “Pianificazionee tecnica di un genocidio”e “Il secolo dell’odio”

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