L’Europa debole che piace a Washington

Con Trump c’è un Occidente americano, isolazionista e proiettato verso l’Indopacifico, e un Occidente europeo, che il presidente Usa è tentato di sacrificare alle ambizioni geopolitiche del rinato nazionalismo granderusso. In una sorta di nuovo bipolarismo illusoriamente pensato in funzione di neutralizzazione della Cina

Renzo Guolo

Al vertice Nato de L’Aja Trump ottiene che gli altri membri dell’Organizzazione nordatlantica portino al 5% del Pil le loro spese di difesa entro il 2035.

Gli europei abbozzano, cedendo alla imposizioni dell’«amico americano» nel forse vano tentativo di non far affondare la barca atlantica: sola eccezione, la Spagna del socialista Sanchez, subito oggetto di minacciose ritorsioni sul fronte dei dazi da parte di un furibondo The Donald.

Hanno motivo, gli europei di essere soddisfatti? Il mostruoso aumento andrà a detrimento sia della loro industria nazionale – finanziando l’acquisto di armamento statunitense -, sia del loro sempre più fragile stato sociale. Con l’aggravante di restare ancorati a una concezione nazionale anziché comune della difesa: ignorando le esigenze di scala del nuovo scenario globale.

Nella circostanza Trump, più che esaltare la funzione della Nato, ha egolatricamente magnificato i risultati dell’intervento americano nel conflitto Israele-Iran, paragonando Fordow a Hiroshima e sorvolando sul fatto che gli iraniani siano riusciti a conservare l’uranio per potersi fare la bomba: tesi, peraltro, anche dei servizi statunitensi, subito zittiti dall’inquilino della Casa Bianca, che scambia le oggettive valutazioni della sua intelligence come un tentativo di sminuirne il “monumentale” successo.

Quanto all’Ucraina, The Donald non si è impegnato con Zelenski a fornire i Patriot richiesti, adducendo che anche Israele ne ha bisogno. Inoltre, attraverso il segretario di Stato Rubio, ha ribadito che, contrariamente ai “ volenterosi” europei, gli Usa non intendono imporre nuove sanzioni a Mosca.

A proposito degli europei, già tacciati dal vicepresidente Vance di “parassitismo”, anche Trump è mosso dalla convinzione che abbiano prosperato per ottant’anni all’ombra dello scudo di Washington.

Dato di fatto. Anche se rimuove che la loro adesione all’Alleanza atlantica garantiva agli Usa la profondità strategica necessaria al contenimento dell’Urss , oltre che il sostegno alla democrazia liberale e il successo del soft power che hanno fatto davvero grande l’America nel XX secolo.

Oggi quel mondo non esiste più: con Trump, c’è un Occidente americano, isolazionista e semmai proiettato verso l’Indopacifico, e un Occidente europeo, che il presidente Usa è tentato di sacrificare alle ambizioni geopolitiche del rinato nazionalismo granderusso. In una sorta di nuovo bipolarismo illusoriamente pensato in funzione di neutralizzazione della Cina.

In Olanda Trump riconosce che Putin potrebbe avere altre ambizioni oltre all’Ucraina. Ne parla, però, come un fatto oggettivo: forse perché ne comprende l’insofferenza per un ordinamento internazionale ritenuto disfunzionale . Certo , dopo aver suscitato il terrore tra gli alleati, non mette in aperta discussione la fedeltà all’articolo 5 della Nato, che obbliga al mutuo sostegno gli altri membri in caso di aggressione a uno di loro, ma, come spesso accade, le sue decisioni possono durare lo spazio di un mattino.

Se per l’adulatorio segretario generale della Nato Rutte - che al presidente Usa si premura di far sapere che «l’Europa pagherà, come è giusto che sia» e che tale esito rappresenta una sua grande vittoria - Putin è una minaccia, per Trump è, significativamente, solo un leader «mal consigliato».

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