La Russia investe sul Passaggio a Nord Est: è la rotta artica che svuoterà il Mediterraneo
Lo scioglimento dei ghiacci artici apre orizzonti in grado di rivoluzionare i traffici marittimi. Da Rotterdam a Shanghai 15/20 giorni di navigazione contro i 35/45 necessari a chi sceglie Suez

La grigia rompighiaccio da guerra russa “Ivan Papanin”, che deve il nome a un esploratore nato a Sebastopoli - celebrato eroe della rivoluzione bolscevica e anche capo della polizia segreta sovietica in Crimea un secolo fa - naviga in queste ore nelle gelide acque lungo la Rotta del Mare del Nord, probabilmente dalle parti di Severomorsk, la più grande base navale di Mosca nel teatro polare. È attesa più a Nord, nella Terra di Francesco Giuseppe, ma nessuno può esserne davvero sicuro, perché le informazioni non sono attendibili. Il Cremlino tace. E neanche agli americani che spiano il traffico dall’alto hanno voglia di raccontare cosa vedono sui loro schermi.

La “Papanin” è uno dei quattro pattugliatori armati in grado di fendere i ghiacci di cui Putin ha deciso di dotarsi, un simbolo qualitativo più che una minaccia reale, una delle prove rombanti dell’ambizione del nuovo zar di incoronarsi sovrano del Passaggio a Nord Est, dunque delle vie commerciali che il graduale ritiro della calotta artica fa immaginare affollate di trasporti e contese fra Stati in un futuro prossimo. Non sarà domani, gli esperti dicono che ci vorranno almeno vent’anni perché la via sia transitabile e, comunque, renderla affidabile sarà un’impresa difficile. Ma ciò non toglie che le manovre di conquista siano cominciate e non escludano colpi bassissimi.
Ci vorranno almeno vent’anni perché la via sarà transitabile. Ma ciò non toglie che le manovre di conquista siano cominciate
La guerra in Ucraina ha incrinato il mito della regione artica quale zona di pacifica cooperazione prevalentemente scientifica. Si riscrivono gli equilibri geopolitici e le potenze inseguono il controllo del Grande Nord per essere sempre più re del Mondo, guardiani delle reti su cui fluiscono gli scambi e cercatori aspiranti fortunati di minerali e materie prime rilevanti per l’innovazione tecnologia, e i profitti che ci si attende derivarne. Il Polo che si scioglie è una tragedia solo per chi non vuole coglierne le opportunità strategiche e arricchirsi di conseguenza.
La Rotta del Mare del Nord è il percorso commerciale più breve fra l’Europa e il Pacifico, dal mare di Barents allo stretto di Bering. Taglia i tempi di percorrenza sino a 15/20 giorni rispetto ai 35/45 richiesti per andare da Rotterdam a Shanghai senza passare da Suez, riducendo sino al 24 per cento le emissioni di gas serra. Al momento è aperta dal primo luglio al 30 novembre, tuttavia nel 2024 il traffico ha raggiunto i 37,9 milioni di tonnellate (+1,6 milioni sul 2023) il volume più alto mai registrato. Nel 2010 erano sfilati solo quattro mercantili con un carico complessivo di 110 mila tonnellate.

La rilevanza della rotta è fotografata dall’attività frenetica di Rosatom, il più grande produttore di energia elettrica in Russia e unico operatore strutturale della rotta a Nord Est, in pratica quello che gestisce i rompighiaccio comunque necessari per navigare senza sorprese. Mosca sogna d’essere l’arbitro di commerci che considera “locali”, spremendo la geografia che le ha donato il 53 per cento delle coste che incorniciano l’Oceano Artico. Ha investito in basi militari, utilizza le risorse off shore, e cerca materie prime sotto il permafrost, dal petrolio ai minerali più preziosi passando per il gas: il colosso Rosneft possiede una ventina di licenze di trivellazione, ma anche francesi, norvegesi e americani investono nell’area.
Osservano la scena i cinesi, autoproclamatisi nel 2018 «Paese quasi artico». Stringono patti con Mosca, anche sostenendo lo sforzo bellico contro Kiev, pur di avere voce in capitolo nella nuova grande rotta e farsi una Via della Seta on the rocks: desiderano un’assicurazione, consapevoli che il loro 90 per cento delle merci che passa attraverso lo stretto di Malacca è soggetto alla sempre imprevedibile influenza di Malesia e Indonesia. Così si portano avanti con i cantieri diplomatici e commerciali. Come l’America, che guarda a Ovest e sogna la Groenlandia come trampolino di base. Mentre l’Europa, in mezzo, avrebbe bisogno di una politica concertata a Ventisette che non c’è.
Dovrebbe vigilare sulla regione il Consiglio Artico di cui fanno parte Russia, Norvegia, Stati Uniti, Danimarca, Islanda, Canada, Norvegia e Finlandia (Italia e Cina sono osservatori); dopo l’invasione dell’Ucraina sono state però sospese tutte le attività e le sessioni con la partecipazione della Russia che, oltretutto, è l’unico socio non Nato del club. Non si avanza. Un vento di conflitto ha cominciato a soffiare sui ghiacci che si consideravano eterni. Nel 2007, i russi hanno piantato una bandiera di titanio sulla Dorsale Lomonosov, 4200 metri sotto il Polo, dichiarando che è la naturale continuazione della Siberia. Parlano di «Oceano Russo», hanno piani per l’«esercito artico». Fra gli analisti c’è chi teme che una delle prossime guerre sarà per la conquista del Polo, incidentalmente una delle regioni più vulnerabili del pianeta dal punto di vista ambientale.
Parlano di Oceano Russo, hanno piani per l’esercito artico. Fra gli analisti c’è chi teme che una delle prossime guerra sarà per la conquista del Polo
Verrà il tempo in cui misurare le potenzialità e gli effetti del Passaggio a Nord Est sarà obbligatorio. I problemi di Suez, che recentemente ha visto dimezzare i volumi di transito (accoglieva il 12 per cento del fatturato globale nel 2023) - colpa non ultima la guerriglia Houthi che ha spostato il 95 per cento del trasporto aiuto sulla costosissima circumnavigazione africana –, uniti agli ingorghi e le tensioni a Panama (7 per cento commercio mondiale nel 2023), ci dicono che l’avvenire delle merci è ancorato nel mare di Barents, il che implica un vasto panorama di insidie per l’Europa e l’Italia. La sicurezza artica è un interrogativo multidimensionale per commercio, energia e governo del Pianeta (anche militare). A questo punto sarebbe importante una politica coordinata in casa Ue, che freni l’espansionismo russo e fissi un equilibro necessariamente fragile. Magari mettendo gli interessi europei in testa ai programmi dell’Unione.
Un giorno la rotta del Nord potrebbe svuotare il Mediterraneo e colpire duramente gli scali storici, compresi quelli della nostra penisola, da Genova a Venezia, a Trieste. C’è urgenza, ma non fretta. Occorre un piano in casa Ue condiviso con gli stati artici. C’è l’esigenza di non rinunciare alle ambizioni e agli affari. La ritirata dei ghiacci e il clima che cambia sono amplificatori di pericoli, aiuteranno la via nelle acque del Grande Gelo a riscrivere la storia del commercio globale. È una questione da non sottovalutare. Mosca è pronta a tutto, con ricadute solo in parti razionali e immaginabili.
Come ha ricordato alla Camera Luca Cinciripini, ricercatore dell’Istituto Affari Internazionali, «quel che succede nell’Artico non resta nell’Artico». E sull’Artico stanno succedendo un sacco di cose.
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