Giustizia e politica, nello scontro perdiamo tutti

Dall’inchiesta milanese agli scontri istituzionali, la tensione tra toghe e politica si rinnova. Ma a perdere non sono solo i protagonisti in campo: è la fiducia collettiva ad affondare, tra sospetti, spettacolarizzazione e crisi di legittimità

Fabio BordignonFabio Bordignon

Ci risiamo. O forse non ci siamo mai spostati di una virgola sul terreno in cui si incrociano e confliggono, da oltre trent’anni, politica e giustizia. Dal centro alla periferia. E di nuovo dalla periferia verso il centro, con effetti che minacciano ripercussioni su scala nazionale. Ma le conseguenze, in termini di reputazione sociale, non riguardano solo la politica. Anche la magistratura ha conosciuto un calo significativo di fiducia.

L’epicentro del nuovo sisma non poteva che essere ancora una volta Milano, con l’inchiesta sull’amministrazione cittadina. Certo, i tempi sono diversi rispetto all’avvio di Mani Pulite, che arrivò a scardinare, non solo un sistema perverso di legami tra politica e affari, ma un intero assetto politico. Eppure, potremmo trovarci di fronte all’inizio di una nuova “ondata di corruzione”. Magari su scala ridotta rispetto alle precedenti. Non ci riferiamo alla rilevanza dei procedimenti giudiziari. Tanto meno ai loro esiti processuali. Piuttosto, alla pervasività del discorso sugli intrecci tra corruzione e politica. Alla narrazione sulla corruzione.

Alla costruzione sociale del fenomeno (rimandiamo, su questo, al Glossario della corruzione, di prossima pubblicazione, curato da Marco Mazzoni e Alberto Vannucci). Un processo nel quale politica e magistratura non sono gli unici attori in campo: l’altro soggetto chiave va individuato nei media.

Ora, quel che parte da Milano non sarà il terremoto di Tangentopoli. Né la serie di scandali che, tra il 2010 e il 2012, favorì lo tsunami grillino. Ma gli effetti politici potrebbero farsi sentire. Dipenderà da come evolvono le indagini. Siamo solo agli inizi.

Di uno “spettacolo” che non si è mai davvero fermato. Fino a diventare incomprensibile agli occhi dei cittadini, dietro la coltre di fumo che annebbia la polarizzazione politico-giudiziaria. Alimentato da attacchi scomposti, istituzionalmente sgrammaticati alle toghe. E sentenze pronunciate anzitempo. Il protagonismo, politico e mediatico, di alcuni giudici non ha contribuito a diradarlo.

Così, mentre il governo porta avanti il suo progetto di riforma della giustizia, la Procura di Palermo fa ricorso contro l’assoluzione di un ministro (Salvini). Mentre un altro ministro (quello della giustizia) attacca frontalmente un magistrato colpevole di averlo criticato, un altro magistrato (Gratteri) figura nel palinsesto della prossima stagione tv. Nel frattempo, piccole e grandi inchieste locali potrebbero impattare sul risultato delle regionali.

Le ricadute della lunga battaglia politico-giudiziaria sono evidenti, nella delegittimazione della politica. Ma la stessa magistratura ha perso la sua sintonia con l’opinione pubblica.

Sono lontani gli anni nei quali i PM avevano assunto il ruolo di eroi della vita civile. I dati ci dicono che, a ogni ondata di inchieste, la fiducia nella magistratura sale.

Per poi però ripiegare negli anni successivi, attestandosi da tempo intorno al 40%. Vittima, anch’essa, del fuoco del conflitto. Della contrapposizione, ormai stantia, spesso strumentale, tra garantisti e giustizialisti. Un processo nel quale tutti hanno qualcosa da perdere. Non solo la politica. Non solo la magistratura. Tutti noi. 

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