Tasse a geometria variabile: evadete, fratelli

La quinta rottamazione delle cartelle fiscali in nove anni è di fatto un incentivo ai furbetti dei redditi a farsi beffe delle tasse. A segnalarlo a chiare lettere è la Corte dei Conti, sottolineando che con queste misure “si alimenta il convincimento che è possibile e conveniente non pagare alle scadenze ordinarie”

Francesco JoriFrancesco Jori

Evadete, fratres: tanto prima o poi arriva l’”ego te absolvo”. La quinta rottamazione delle cartelle fiscali in nove anni, introdotta venerdì scorso in manovra, è di fatto un incentivo ai furbetti dei redditi a farsi beffe delle tasse.

A segnalarlo a chiare lettere è la Corte dei Conti, sottolineando che con queste misure “si alimenta il convincimento che è possibile e conveniente non pagare alle scadenze ordinarie”.

È una deleteria pratica, trasversale alle forze politiche: se stavolta l’artefice dello sconto di pena è Salvini, tutto preso dal tentativo di tamponare l’emorragia di consensi della sua Lega, prima di lui vi hanno fatto ricorso governi di ogni segno e colore; comunque a spese delle pubbliche casse.

Che sia tanto fumo e poco arrosto, è ancora la Corte dei Conti a chiarirlo, con riferimenti a quanto fin qui portato a casa. Nelle prime tre rottamazioni si è riusciti a riscuotere meno della metà del previsto: 42 per cento nella prima, 32 nella seconda, 33 nella terza; per la quarta le pratiche sono ancora in corso, ma la tendenza rimane la stessa. In compenso, la prospettiva di farla franca alimenta le file del popolo dell’evasione: tra la prima e la quarta misura, gli aderenti sono pressoché raddoppiati, passando da 1, 7 a 3 milioni di persone; e le cartelle fiscali da sanare sono schizzate da 34, 5 a 97, 3 milioni, per un valore complessivo di quasi 1. 300 miliardi di euro.

Di questi, oltre 530 sono già stati etichettati come irrecuperabili, perché riferiti a soggetti deceduti, falliti, nullatenenti, o comunque non più perseguibili.

La morale è elementare: non pagare le tasse conviene, per chi può permetterselo, perché gli argini all’evasione sono come quelli di un fiume quando esonda. A denunciarlo è sempre la Corte dei Conti: “L’attuale capacità operativa dell’Agenzia delle entrate-riscossione non appare da tempo in grado di fronteggiare il flusso annuale di posizioni creditorie”. Notare quel “da tempo”: dura da assai, ma la politica anziché potenziare le difese allarga le brecce. E così facendo alimenta un malcostume tipicamente nostrano, come ha appena segnalato l’ultima edizione dell’Osservatorio sulle entrate fiscali: quattro italiani su dieci non pagano l’Irpef; e tra chi la versa, il 12 per cento sborsa in media la miseria di 26 euro l’anno, il che significa che è a carico dell’intera comunità.

In sostanza, quasi un cittadino su due non scuce neppure un euro di Irpef; col risultato che poco più di un quarto di contribuenti si fa carico da solo di quasi l’80 per cento dell’imposta.

Il che suggerisce un’urticante domanda ad Alberto Brambilla, presidente del Centro studi e ricerche di Itinerari Previdenziali: “Come è possibile che quasi la metà dei cittadini viva con 10mila euro lordi l’anno? ”. Un autentico scandalo, con una ricaduta devastante denunciata l’altro ieri dallo stesso presidente della Repubblica Sergio Mattarella: “C’è una parte dell’Italia che vive sulle spalle di chi le tasse le paga, approfittando di servizi essenziali come sanità, scuola e trasporti”.

Nonostante questo degrado, la pressione fiscale continua ad aumentare, raggiungendo il 42, 5 per cento, come segnalato dall’Istat. Siamo giunti a un livello di prelievo pari a quello dei Paesi del nord Europa, ma con un’efficienza di servizi di gran lunga inferiore, e con una pubblica amministrazione sempre più indebitata. Il tutto a carico di metà degli italiani che le tasse le versano, mentre l’altra metà intona alle loro spalle il coro, “e sempre sia lodato / il fesso che ha pagato”. —

 

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