I costi del riassetto in Medio Oriente

Il preteso “riassetto” del Medio Oriente secondo Trump passa anche per la rinuncia dell’Occidente a una politica ambientalista

Peppino OrtolevaPeppino Ortoleva
Donald Trump e Benjamin Netanyahu
Donald Trump e Benjamin Netanyahu

Come sembra ormai “normale” da quando si è insediata la presidenza Trump la politica internazionale ha aspetti surreali ma che a uno sguardo attento mostrano una loro, perversa, logica. Vale sia per l’Ucraina sia per il Medio Oriente: sul quale nel comprensibile desiderio che si arrivi presto alla pace molti osservatori rinunciano a farsi domande, e a vedere aspetti più oscuri e meno rassicuranti.

Nel caso dell’Ucraina il riaccostamento di Trump a Putin proprio alla vigilia dell’incontro con Zelensky dimostra che sotto le sue dichiarazioni tonanti quanto ondivaghe resta il vero filo unificante della sua politica, l’intenzione di darla vinta almeno in parte a Putin.

Il resto è confusione almeno in parte voluta. E nel caso del Medio Oriente? Quello che è stato firmato a Sharm el Sheikh il 13 ottobre alla presenza di capi di governo di mezzo mondo e perfino del presidente della Federazione Internazionale del Calcio è stato presentato come un accordo di pace, naturalmente “storico”.

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Ma che “pace” è quella che non viene firmata da nessuno dei contendenti? Hamas non era stata invitata, Netanyahu non si è presentato e nessuno ha spiegato chiaramente il perché. In realtà alla base di quegli “accordi” volti a presentare al mondo un Medio Oriente oggetto di un duraturo riordino non c’è una conciliazione tra forze protagoniste finora di terribili massacri ma l’ostentato allineamento tra gli Usa, i regimi autocratici di Egitto e Turchia, le monarchie del Golfo.

E il tutto nasconde un non detto: la convergenza nel rinnegare anzi nel combattere attivamente tutte le politiche di limitazione dei combustibili fossili avanzate da Biden e dall’Ue. Fin dal suo primo mandato il presidente non ha perso occasione per dichiarare che il cambiamento climatico non sarebbe solo inesistente, ma “una gigantesca truffa” da sventare (come ha ribadito all’Onu tre settimane fa), fatta per danneggiare gli Usa che di gas e petrolio sono ricchi ma, chiaramente, anche paesi che degli Usa sono tradizionali alleati.

In effetti per le monarchie del Golfo, che solo sulle immense ricchezze petrolifere fondano la loro speranza di continuare i loro regimi sempre e ostinatamente feudali pur nella “modernizzazione” fatta soprattutto di grattacieli e squadre di calcio, i piani di decarbonizzazione delle economie occidentali entro i prossimi 25-30 anni erano una sorta di condanna a morte.

Tanto che ne erano stati spinti a minacciare di allontanarsi dai loro alleati storici e avvicinarsi a Russia e Cina e perfino al nemico dei nemici, l’Iran: come dimostrò a marzo l’incontro a Pechino tra l’Arabia saudita e i rappresentanti di Teheran. Ora Trump con la sua politica furiosamente antiecologica si dichiara intenzionato a far sì che l’era del petrolio non finisca mai.

E invita a seguirlo tutte le destre soprattutto europee, per le quali il rifiuto delle politiche verdi sta diventando una parola d’ordine sempre più centrale, in difesa di potenti interessi industriali ma anche delle abitudini e dei modi di vita che tanti dei loro elettori non intendono cambiare. Lo dimostrano le dichiarazioni di Meloni contro l’ecologismo “ideologico” dell’Europa e contro un green deal in effetti in parte confuso, come le linee politiche di formazioni che vanno dal Rassemblement National ai partiti “euroscettici” dell’est.

Il preteso “riassetto” del Medio Oriente passa anche per la rinuncia dell’occidente a una politica ambientalista. Ai costi di questa rinuncia, per ora, poco si pensa.

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