Lega e M5s in affanno alle Regionali: è davvero finita la stagione populista?

Dalle urne in Toscana, Calabria, Marche e Valle d’Aosta emerge un quadro di stabilità. Ma il calo di Lega e Cinque Stelle non basta a decretare la fine dell’ondata populista: la prova decisiva sarà in Campania e Veneto

Fabio BordignonFabio Bordignon

Nel quadro di sostanziale stabilità suggerito dalla prima manche delle elezioni regionali, con il voto in Toscana, Calabria, Marche e Valle d’Aosta, ci sono pochi dubbi su quali siano i principali sconfitti: Lega e M5s. Il fatto che si tratti dei due protagonisti della più consistente tra le ondate populiste che hanno segnato l’Italia – quella che nel 2018 li portò insieme al governo – rilancia una serie di suggestioni. Rispetto alle quali è opportuno, tuttavia, introdurre qualche cautela.

Siamo di fronte ad una svolta neo-moderata, confermata anche dalle buone performance di Forza Italia e altre formazioni centriste? In particolare, il risultato dei due protagonisti della stagione giallo-verde sancisce il definitivo esaurimento della spinta populista, o annuncia addirittura un’onda di riflusso rispetto all’estremismo di ogni colore politico?

Andiamoci piano.

È opportuno attendere, anzitutto, le ultime tappe della lunga corsa regionale. In particolare, sarà fondamentale verificare i numeri (del M5s) in Campania e (della Lega) in Veneto. Si tratta, infatti, delle regioni in cui i due partiti hanno maggiore radicamento: nel 2018, i 5s lambivano il 50% in Campania (49,4%), esattamente come, un anno dopo, la Lega sfiorava la maggioranza assoluta in Veneto (49,9%). Non solo: in questi contesti, i partiti di Salvini e Conte corrono con propri candidati. Ma con diverse potenziali complicazioni. Legate alle liste personali di candidati-presidente, come nel caso di Fico. E alla corsa di ingombranti governatori uscenti, come Zaia, capolista in tutte le province, e De Luca, che ha varato una propria lista. Per non parlare dei possibili riflessi dei numerosi dissidi interni.

Ma non è solo questo. La nuova stabilità che ha visto finora riconfermarsi gli “uscenti” potrebbe riproporsi anche a novembre. Almeno per quanto riguarda le coalizioni vincenti, vista l’impossibilità di un ulteriore mandato per gli attuali presidenti (la stessa condizione di Zaia e De Luca riguarda, infatti, Emiliano in Puglia). C’è da dubitare, più in generale, che le difficoltà di M5s e Lega svelino la chiusura della stagione populista. E non solo perché il voto regionale presenta dinamiche “proprie”.

Basta guardarsi intorno, a partire dal quadro europeo. Partiti anti-establishment, spesso di destra radicale, guidano i sondaggi nei principali paesi: AfD in Germania, Rassemblement national in Francia, Reform nel Regno Unito. E poi c’è Trump, il cui caso, peraltro, ci indica come, dopo un periodo di parziale appannamento, questi impulsi possano essere nuovamente raccolti degli stessi interpreti.

Il caso di Lega e M5s ci dice, piuttosto, come misurarsi con le responsabilità di governo possa quantomeno inibire, nel breve periodo, l’appeal delle forze populiste. Non possiamo trascurare, infine, come il testimone della sfida al “sistema”, nella fase recente, sia stato raccolto da FdI: l’ultima alternativa rimasta sulla piazza, all’epoca delle ultime Politiche. La vera novità, allora, potrebbe materializzarsi qualora Meloni riuscisse davvero a reggere la prova del governo, incanalando l’energia distruttiva del populismo nelle istituzioni. Traducendola in una duratura prospettiva di governo. 

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