La cautela che produce stabilità

Va dato atto ai partiti di centrodestra di saper sempre ritrovare una compattezza, qualità assente dalla parte opposta: dove le opposizioni non sono riuscite a sfornare uno straccio di proposta unitaria su fisco o sanità

Carlo BertiniCarlo Bertini
Il ministro Giorgetti
Il ministro Giorgetti

Prima la promozione di Fitch a settembre, poi quella di DBRS Morningstar, che riporta il rating dell’Italia “in serie A”, come traduce giustamente Giancarlo Giorgetti l’agognato salto dalla serie BBB. Era dal 2006 che l’Italia non godeva di questa posizione in prima categoria, nei vent’anni successivi ha addirittura sfiorato il precipizio del non investment grade.

Dunque è la prima volta che un governo politico mette a segno un crollo del famigerato spread e una promozione (così netta) delle terribili agenzie di rating. Cruciale per poter vendere e bene, i titoli dell’enorme debito pubblico italiano. E quindi se c’è un caso in cui bisogna dare a Cesare quel che è di Cesare, è proprio questo: la longevità inseguita da Giorgia Meloni, come obiettivo primario uno scopo tangibile lo produce.

Una promozione dei mercati evita scossoni e innesca un effetto domino sul sistema produttivo del paese. La durata di un governo può produrre questo circolo virtuoso ed è scritto nero su bianco nelle motivazioni addotte da Fitch per il rialzo della sua valutazione: “il miglioramento della finanza pubblica” viene al primo posto e subito dopo figura “la stabilità politica che dà credibilità agli impegni di bilancio”.

E qui viene il punto: per inseguire la stabilità, la premier non solo ha fatto dolorose scelte politiche (come quella sul Veneto alla Lega), ma ha operato una scelta strategica precisa, confermata dall’ultima manovra economica sfornata venerdì dal consiglio dei ministri. Ha privilegiato, d’intesa con Giorgetti, la cautela che piace tanto ai mercati, rispetto a riforme più ambiziose, ma prive delle risorse necessarie, a meno di contrarre altro debito: come il grande piano casa sbandierato al meeting di Rimini, che però avrebbe il difetto di costare una quindicina di miliardi di euro.

O la promessa di 25 miliardi alle imprese colpite dai dazi. Quindi malgrado la povertà dei salari, la difficoltà in cui versano le famiglie di ceto medio, le scarse risorse per aumentare il potere d’acquisto, il dominus è la stabilità. E con essa, l’austerità criticata dalle opposizioni. Anche se la riduzione Irpef avvia un percorso e 2,4 miliardi per la sanità consentono di assumere mille medici e di aumentare i salari anche per gli infermieri. Insomma, anche se qualcosina c’è, in una legge di bilancio che come sempre accade presenta le classiche luci ed ombre.

Ma la premier esce indenne dalla prova del fuoco della terza legge di bilancio, confermando una capacità manovriera nella formula individuata per mettere d’accordo le banche e la ragioneria dello Stato, che pretende coperture certe per le misure di spesa.

Con un marchingegno capace di portare 4 miliardi nelle casse dello Stato, su base volontaria ma in pratica obbligata, Giorgetti e Meloni hanno superato la prova disinnescando lo strappo minacciato da Tajani che avrebbe portato a una crisi di governo.

E va dato atto ai partiti di centrodestra di saper sempre ritrovare una compattezza, qualità assente dalla parte opposta: dove le opposizioni non sono riuscite a sfornare uno straccio di proposta unitaria su fisco o sanità e il Pd non ha prodotto la “contro-manovra” dei tempi andati, che avrebbe magari dato al paese un’idea di cosa farebbe Schlein se andasse a Palazzo Chigi.

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