Dopo Los Angeles anche San Francisco: tutti i rischi dell’azzardo californiano
La scelta di Donald Trump di schierare la Guardia Nazionale per mettere fine agli incidenti seguiti alle azioni della forza federale incaricata di dare caccia agli immigrati illegali, senza che vi sia stata la richiesta da parte del governatore Gavin Newsom: una prova di forza contro gli oppositori


Una prova di forza, la scelta di Donald Trump di schierare in California la Guardia Nazionale - senza che vi sia stata alcuna richiesta da parte del governatore Gavin Newsom -, per mettere fine agli incidenti seguiti alle muscolari azioni dell’Ice, la forza federale incaricata di dare caccia agli immigrati illegali. Rivolta che, dopo Los Angeles, si è estesa a San Francisco.
Trump motiva la decisione con l’inefficienza delle forze di polizia locale, a suo avviso non supportate dalla politica locale, esplicitamente ritenuta «complice» con quanti protestano, e l’incapacità di proteggere gli edifici federali. Accuse respinte sia dal governatore, sia dai sindaci delle due principali città californiane.

Un simile intervento è previsto solo in caso di gravissimi disordini interni oppure per reagire all’attacco di una potenza straniera. Secondo le autorità locali , però, la situazione dell’ordine pubblico non è tale da richiedere un simile dispositivo emergenziale. In realtà, Trump sembra voler mettere in difficoltà gli oppositori. Stato popoloso e assai ricco, la California è controllata dai democratici, la sua classe dirigente è, in larga parte, espressione di quell’élite aperta e cosmopolita lontana dal sovranismo Maga, profondamente ostile all’America delle coste. Un’America, quella bagnata dagli oceani, ritenuta, a Ovest come a Est, nemica dei valori tradizionali.

Andare a uno scontro con quest’America talassica significa per Trump aprire un capitolo di quella guerra culturale che, nel caso specifico, ha come bersaglio sia l’odiato mondo liberal, sia gli immigrati ritenuti una minaccia per la terranea e nativista identità americana. Inoltre, consente di colpire Newsom, possibile sfidante democratico alle prossime presidenziali. Insomma, per Trump e i suoi, la vicenda californiana consente di infliggere un notevole colpo politico a un universo che non sentono amico. Così la scelta dell’ amministrazione, sospinta dai suoi ideologi più radicali, è quella di generare il caos anziché quella di collaborare per contenere lo scontro.
I riots californiani consentono, infatti, di additare all’America profonda la «complice inettitudine» dei democratici di fronte agli stranieri illegali che si oppongono all’arresto. La California diventa, così, il nuovo laboratorio politico della strategia della tensione in salsa trumpiana, che ha bisogno di esacerbare i conflitti interni anche per oscurare i critici risultati in altri versanti .
Che si tratti di una situazione eccezionale è dimostrato anche dall’ordine presidenziale di autorizzare l’invio dei militari sull’intero territorio nazionale mantenendoli sotto l’autorità di Washington. E dal fatto che, al confine caldo tra New Mexico e Texas, il segretario alla Difesa Pete Hegseth ha esteso a dismisura i perimetri delle base militari Usa, provvedimento che consente di detenere temporaneamente migranti e civili che si trovino al loro interno.
Un crescendo di tensioni, destinate a innescare una spirale di azioni e reazioni, che confermano come il trumpismo sia un fattore di criticità per la tenuta della democrazia americana, alle prese con uno dei momenti più difficili della sua storia.
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