Riforma della giustizia, tra propaganda e silenzi: le otto verità che nessuno dice
De Nicolo: «Questa riforma non accelera i processi né rafforza la terzietà dei giudici. È il primo passo per subordinare il pm all’esecutivo»

Completato l’iter parlamentare della riforma costituzionale sulla magistratura, osservo frequentemente sulla stampa quattro fake news e quattro omissioni.
Le fake news sono le seguenti.
1 La riforma renderà la giustizia più giusta ed efficiente. Falso. Essa non si occupa affatto del concreto funzionamento della giustizia, non garantisce alcuna riduzione degli errori giudiziari, non accelera di un minuto i processi civili e penali. La riforma intende sconvolgere l’architettura costituzionale dell’ordine giudiziario – o almeno della sua maggior componente, e cioè la magistratura ordinaria, non toccando per ora le magistrature amministrativa, contabile, militare e tributaria – e porre le premesse per sottoporre, con un ulteriore colpo di maglio, il pubblico ministero al potere esecutivo. Un’analisi approfondita di questo stravolgimento è stata operata l’altro ieri su queste colonne da Bruno Cherchi, ex magistrato come me: non ripeto per brevità quelle puntuali osservazioni, a cui mi riporto integralmente.
2 La riforma è indispensabile per assicurare la terzietà del giudice nel processo penale. Falso. In primo luogo, con le norme attuali non v’è alcuna commistione fra giudice e pubblico ministero, incardinati in funzioni distinte, fra le quali è ammesso un solo passaggio da attuare entro i primi nove anni di servizio – passaggio di fatto applicato solo a una manciata di magistrati all’anno su circa 10. 000 –: dunque oggi chi nasce p m terminerà la carriera da pm nel 99, 8% dei casi, e altrettanto accade per chi nasce giudice. In secondo luogo, sull’effettiva terzietà del giudice basta il seguente rilievo statistico: adesso, a carriere unificate, i giudici si discostano dalle richieste dei pm in oltre il 40% dei casi, sicché non si vede nella realtà quotidiana alcuna supina adesione dei primi alle tesi dei secondi. In terzo luogo, la realtà giudiziaria vive del fondamentale apporto dei magistrati onorari, i quali sono normalmente avvocati adibiti alla funzione giurisdizionale in un luogo diverso da quello dove esercitano la libera professione: nessuno s’è mai sognato di dubitare della loro terzietà e imparzialità difronte ai loro colleghi avvocati, come ostinatamente si continua a fare per i giudici togati difronte ai pm. In quarto luogo, è noto che, in attuazione di una previsione costituzionale, siede in Cassazione un certo numero di avvocati, nominati giudici della Suprema Corte per meriti insigni: ebbene, nessuno dubita della loro terzietà, pur essendo stati in precedenza avvocati.
3 La riforma è indispensabile per attuare la previsione dell’articolo 111 della Costituzione, dove si afferma che il giudice deve essere “terzo e imparziale”. Falso. La giurisprudenza costituzionale ha già affermato che tale locuzione debba comportare non già una diversa posizione ordinamentale del giudice, ma soltanto la sua assoluta neutralità rispetto alla decisione che deve emettere.
4 La riforma viene avversata soltanto da un manipolo di “toghe rosse”, ostili per principio all’attuale Governo. Falso. La riforma è criticata pressoché unanimemente da tutti i magistrati, in servizio o in pensione come me, compresi quelli – numerosi! – che si riconoscono politicamente nella destra parlamentare. È sconfortante osservare che su questo fatto importante non s’apre alcuna riflessione e si preferisce invece rifugiarsi nella falsa favoletta dei pochi e rumorosi magistrati “politicizzati”.
Le omissioni sono le seguenti
1 La riforma è stata varata al prezzo dell’umiliazione dell’intero Parlamento, privato del potere-dovere di avviare una discussione nel merito e posto pertanto in posizione subalterna rispetto al testo blindato del Governo, il che ha ridotto il potere legislativo alla mera espressione di voto. È giusto chiedersi come mai non sia stato assicurato il rispetto delle prerogative parlamentari nella riscrittura di quasi tutti gli articoli della Costituzione riguardanti l’assetto della magistratura, riscrittura addirittura vantata come la vittoria di una parte politica sull’altra, come se non fosse in gioco un’istituzione fondamentale per la tenuta di uno Stato democratico.
2 La riforma contiene alcune clamorose sgrammaticature costituzionali: tale appare, ad esempio, l’istituzione di un’Alta Corte disciplinare – che parrebbe contrastare con due previsioni della Carta fondamentale, quella sul divieto di creazione di giudici speciali e quella sulla necessità del ricorso per Cassazione per violazione di legge avverso le decisioni di qualsiasi giudice –; tale appare pure l’obbligatorietà del sorteggio per l’individuazione dei magistrati da inserire nei due nuovi Consigli superiori e nell’Alta Corte – che parrebbe contrastare con la regola dell’elettività nelle cariche pubbliche di rilievo costituzionale, regola la quale costituisce un principio supremo dell’ordinamento secondo illustri costituzionalisti –. Ebbene, su tali inquietanti aspetti non v’è stato alcun dibattito e si è preferito rimandare ogni discussione alle successive leggi di attuazione, come se fosse possibile che future leggi ordinarie deroghino a norme della (novellata) Costituzione!
3 La sostituzione dell’attuale Consiglio Superiore della Magistratura con tre organismi di rilievo costituzionale, quali il Consiglio Superiore dei magistrati giudicanti, il Consiglio Superiore dei magistrati requirenti e l’Alta Corte disciplinare, comporterà un importante incremento di spese a carico del bilancio dello Stato: non mi risulta che questo aspetto sia stato mai nemmeno accennato dai promotori della riforma, nonostante l’evidente interesse dei cittadini a conoscere quale sarà la ricaduta economica a loro carico di questa nuova pletorica organizzazione.
4 La riforma viene spesso intestata a Silvio Berlusconi. Mi pare però si ometta di precisare non soltanto che il “padre nobile” è persona condannata con sentenza definitiva alla pena di quattro anni di reclusione per frode fiscale multimilionaria, ma anche e soprattutto che ben prima di lui v’è stato un altro “padre nobile“: Licio Gelli, che fin dagli anni 80 ha previsto la separazione delle carriere dei magistrati quale tratto fondante del suo “Piano di rinascita democratica”.
Affido queste considerazioni alla riflessione dei lettori.
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