Dai grattacapi di Meloni a Salvini ringalluzzito: ecco quali sono i nuovi equilibri al governo

Per il centrodestra la legge elettorale ora è l’obiettivo principale: senza modifiche, se il centrosinistra è unito diventa competitivo

Carlo BertiniCarlo Bertini
Alberto Stefani e Giorgia Meloni sul palco del Gran Teatro Geox di Padova (foto agenzia bianchi)
Alberto Stefani e Giorgia Meloni sul palco del Gran Teatro Geox di Padova (foto agenzia bianchi)

Unica luce in uno scenario alquanto tenebroso: il sondaggio del lunedì vede crescere, a livello nazionale, FdI al 31%. A parte questo, non è che Giorgia Meloni possa brindare, anche se indubbiamente il pareggio 3 a 3 non le dispiace: la premier rischiava di perdere il test delle regionali di mid term 5 a 1, visto che quest’estate la sinistra sperava di strappare le Marche e la Calabria. Ma il raddoppio della Lega su Fratelli d’Italia in Veneto e il brutto risultato del partito in Campania fanno tremare i polsi e inquinano il clima nella maggioranza di governo.

Primo problema, quello dei rapporti di forza nel Nord del Paese, che la Lega proverà a giocare a proprio vantaggio, con un effetto domino di tensioni in Veneto, dove FdI non darà le carte come sperava. Non è azzardato prevedere che, quando sarà il momento, il candidato in Lombardia verrà indicato ancora dalla Lega e così in Friuli Venezia Giulia.

Il che dimostra quanto FdI fatichi a uscire dal recinto dei partiti personali per entrare in quello dei partiti strutturati e plurali. Dove, viceversa, è entrato a pieno titolo la Lega, dopo la nuova affermazione di Luca Zaia, che ormai è l’alter ego di Matteo Salvini, grazie alla confermata autorevolezza regalatagli dalle urne. L’arma migliore in ogni partita politica. Insomma, la classe dirigente locale non decolla.

Secondo nodo per la premier, di portata nazionale, quello di una nuova legge elettorale e lo conferma il fatto che nelle chat di deputati e senatori era questo il tema topic trend: perché in Campania si è visto che se il centrosinistra si unisce, diventa molto competitivo. Con la legge in vigore, nelle sfide dei collegi al Sud Meloni rischia di perdere il controllo del Senato alle prossime elezioni. Il «che fare?», dunque, si intreccia con la tempistica: è un indizio che il governo acceleri e punti a far svolgere il referendum sui giudici a marzo. Da questa prova del nove incerta dipenderà la decisione se forzare la mano per cambiare il sistema di voto con uno più favorevole al centrodestra.

Detto questo, il voto in Veneto dimostra che senza il traino di Meloni, il suo partito non ce la fa: FdI perde circa venti punti rispetto alle europee 2024, certo grazie al valore aggiunto di Luca Zaia, che ora va collocato a dovere, altrimenti diventerebbe troppo ingombrante. E non solo a livello regionale, ma anche per il suo partito: l’ex governatore è «il salvatore della patria», ma esprime una linea opposta a quella di Matteo Salvini, ecumenica, autonomista, pro-diritti e anti-sovranista.

Ora il Capitano è in debito con il Doge e dovrà gestire una partita interna: che vede il generale Vannacci in antitesi e scalpitante verso il vertice del partito. Insomma, anche se praticherà un divide et impera, il leader del Carroccio pattinerà sulle uova.

Dalla parte opposta, c’è un altro elemento sorprendente: in Veneto il centrosinistra raddoppia, salendo al 30% e il Pd cresce al 18%, dimostrando che se il Campo largo si compatta, può giocarsela anche fuori casa.

Ma non solo: la fusione tra gli elettorati Pd e 5 stelle avvenuta in Campania, malgrado i due partiti non abbiano fatto altro che beccarsi negli anni scorsi, rompe un tabù. Nella regione dove i 5s sono tradizionalmente forti, l’ordine di scuderia «vota Fico» nel Pd ha funzionato e il Campo largo ha vinto meglio del previsto. Test riuscito, che apre molte riflessioni a livello nazionale.

La prima: ora che il Pd è cresciuto in tutte le regioni, Schlein ha strada spianata nel rivendicare la sua linea unitaria e la leadership della coalizione. Sempre che Meloni non obblighi alleati e avversari all’indicazione del candidato premier sulla scheda, il che costringerebbe il centrosinistra a decidere con le primarie. Secondo: le buone affermazioni dei candidati del Campo largo aperto a tutti, da Renzi a Conte e Fratoianni, insidiano una seconda vittoria della premier. Spetterà a Schlein e Conte trovare una visione unitaria e trasmettere l’idea di un progetto alternativo di governo del Paese.

Per finire, il dato più inquietante: nessuna delle due coalizioni riesce a convincere gli elettori a uscire di casa, anche se in questo caso l’astensione è determinata anche dal fatto che si sapeva chi avrebbe vinto in ogni regione. Ma a leggere i dati di uno studioso del fenomeno come Federico Fornaro, vengono i brividi. Nelle sei regioni l’affluenza è stata del 44,7% rispetto al 57,2 precedente: in termini assoluti non sono più andati a votare 2,3 milioni di elettori, di cui oltre 600 mila solo in Veneto. Percentuali così basse rendono fragili tutte le vittorie. 

Riproduzione riservata © il Nord Est