I due vincitori e uno scenario che è cambiato
Tutti ripetono che Zaia oggi può candidarsi a tutto, presidente della Camera o ministro o leader della Lega. Ma forse a Zaia interessa di più essere doge a Venezia che secondo a Roma

Da ieri il Veneto ha due leghisti proiettati da protagonisti sulla scena nazionale: Alberto Stefani e Luca Zaia. Dal 1995 alle elezioni regionali in Veneto nessuno ha mai vinto con una percentuale superiore ad Alberto Stefani, nemmeno Luca Zaia nel 2010 e nel 2015, nemmeno Giancarlo Galan nei precedenti turni.
Solo Zaia nel 2020 aveva fatto di meglio. Servono i raffronti per posizionare i fenomeni. E sicuramente Stefani, per pacatezza di stile e contenuto di programma, ha incontrato largamente il gradimento dell’elettorato veneto. Un altro leghista a guidare il governo regionale a Palazzo Balbi.
Ma i vincitori delle elezioni sono due, in effetti. Chiarissima anomalia. Uno è Stefani, l’altro è indiscutibilmente Luca Zaia, che in termini di preferenze personali ha letteralmente trionfato e contributo in misura determinante al risultato finale. Basti dire che, all’annuncio della sua candidatura a capolista della Lega, secondo un paio di sondaggi rimasti riservati, le quote di voti attribuiti al partito fondato da Umberto Bossi e quelli assegnati a Fratelli d’Italia erano, in sostanza, pari. Dalle urne di ieri, invece, emerge che la Lega in Veneto ha un patrimonio doppio rispetto a quello di FdI.
Altra comparazione, utile a comprendere i fenomeni. Alle ultime elezioni europee, ossia l’ultimo test politico, FdI valeva fra Garda e Tagliamento il triplo della Lega. Chiamiamo in causa le Europee perché le Regionali hanno un significato prettamente politico.
Un chiaro indicatore del seguito di Zaia stava in un altro sondaggio, realizzato da Youtrend nei giorni scorsi, secondo il quale oltre i 3/4 dei veneti esprimevano un voto positivo rispetto al governo regionale uscente. Lo stesso sondaggio, calato su Campania e Puglia, dava esiti del tutto dissimili e comunque al di sotto della metà del campione. Perché in generale il potere logora (anche) chi ce l’ha e De Luca come Emiliano avevano seminato pure ampie divisioni nel corpo sociale campano e pugliese. Tutt’altra storia quella del legame tra Zaia e quello che lui definisce “popolo veneto”. Una identificazione, capace di andare al di là degli schieramenti e di superare anche il logoramento implicito in 15 anni di governo.
A questo punto si aprono per Stefani e per Zaia due partite nuove, largamente impreviste. Stefani è alle prese con la formazione di un assetto di governo a partire dai rapporti di forza reali emersi dalle urne e non dalle supposizioni: ne potrebbe derivare la volontà di strappare i patti pre-elettorali con relative spartizioni quanto agli assessorati e alla cascata di nomine connesse alla Regione (per esempio: le Direzioni delle aziende sanitarie, che valgono 3/4 del bilancio e cospicua parte del consenso).
Ma poi, i dati di ieri proiettano possibili effetti anche sulle prossime tornate elettorali. Parliamo, in particolare, delle amministrative che investono il capoluogo del Veneto. Fino a ieri pareva inimmaginabile che potesse essere leghista anche il sindaco di Venezia. Tutti ripetono che Zaia oggi può candidarsi a tutto, presidente della Camera o ministro o leader della Lega. Ma forse a Zaia interessa di più essere doge a Venezia che secondo a Roma. —
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