Se la protesta pro Gaza dimentica il rispetto

In questi giorni si stanno moltiplicando episodi di intolleranza all’interno di molti atenei italiani in relazione a ciò che sta accadendo a Gaza con docenti aggrediti e interruzione di lezioni, ma senza tolleranza delle posizioni altrui, senza rispetto delle idee diverse dalle proprie, non ci può essere università

Vincenzo MilanesiVincenzo Milanesi
Un gruppo di studenti Pro Palestina, aderenti alle proteste nelle sedi universitarie di Torino per chiedere la rescissione degli accordi tra ateneo e università e istituzioni israeliane, si è incatenato davanti al rettorato
Un gruppo di studenti Pro Palestina, aderenti alle proteste nelle sedi universitarie di Torino per chiedere la rescissione degli accordi tra ateneo e università e istituzioni israeliane, si è incatenato davanti al rettorato

In questi giorni si stanno moltiplicando episodi di intolleranza all’interno di molti atenei italiani in relazione a ciò che sta accadendo nella Striscia e in Gaza city. Docenti aggrediti da gruppi di studenti, interruzione di lezioni, ma anche forme di più o meno chiara censura da parte di autorità accademiche nei confronti di docenti che hanno fatto dichiarazioni di un determinato tenore su Israele e dintorni.

Intendiamoci bene: ciò che sta avvenendo a Gaza è segno di un imbarbarimento inaccettabile, è una forma atroce di sterminio di una popolazione civile che è, in gran parte, doppiamente vittima, di un’organizzazione terroristica come Hamas e di un esercito invasore.

È quindi ben comprensibile che anche all’interno degli atenei sia cresciuto lo sdegno per lo strazio di donne e bambini, per azioni militari che non risparmiano nessuno, nemmeno gli ostaggi israeliani usati come scudi umani. E che quello sdegno si esprima in vari modi. Anche sospendendo attività accademiche se ritenute funzionali al rafforzamento della forza militare che sta compiendo quei massacri, con scelte anche radicali, dopo deliberazioni che le approvano negli organi di governo degli atenei.

Ecco, il punto è proprio questo: nelle università non può e non deve mai venire meno il metodo della discussione libera, democratica, su qualsiasi argomento, nessuno escluso, mentre risulta inaccettabile qualsiasi forma di prevaricazione e di imposizione nei confronti di tutte le componenti della comunità accademica, senza eccezione alcuna.

Le università nascono e si sviluppano sin dalle loro origini all’inizio del secondo millennio proprio per creare un luogo, non solo fisico, all’interno del quale allievi e maestri potessero discutere in libertà di qualsiasi argomento, desiderosi di mettere a confronto le rispettive posizioni. Gli atenei come luoghi di elaborazione di saperi innovativi e della trasmissione di questi alle generazioni più giovani, cioè come luoghi della ricerca e della didattica, nascono su questa premessa: ogni affermazione deve essere dimostrata con argomenti e non imposta con quello che, usando un’espressione allora usata in modo tutt’altro che metaforico, veniva chiamato l’argumentum baculinum cioè l’argomento del bastone. Sostituendo allo sforzo di esercizio della razionalità attraverso la discussione la forza bruta dell’imposizione attraverso la violenza fisica.

Senza tolleranza delle posizioni altrui, senza rispetto delle idee diverse dalle proprie, non ci può essere università. Chi ha vissuto la stagione della violenza terroristica organizzata all’interno degli atenei italiani degli Anni Settanta, gli “anni di piombo”, augura a chi oggi opera nelle aule, nei laboratori e nelle biblioteche, negli uffici amministrativi delle università, di non trovarsi mai a vivere situazioni di scontro fisico, di violenza sistematicamente praticata, come allora. Guai a chi oggi, quando si è ancora in tempo a spegnere l’incendio nel Paese oltre che negli atenei, lo alimenta strumentalmente, anche a livelli alti della politica nazionale, invece di favorire quel clima di anche aspra, ma pacifica discussione che è il sale della democrazia, nel rispetto e nel reciproco riconoscimento tra le parti. Che deve valere, anche e soprattutto, nelle università. —

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