L’impotenza degli organismi internazionali

Se le organizzazioni internazionali intendono essere utili di fronte a crisi gravi come quella attuale dovrebbero ridefinire radicalmente le proprie regole e la propria funzione

Peppino OrtolevaPeppino Ortoleva
Antonio Guterres, segretario generale dell'Onu
Antonio Guterres, segretario generale dell'Onu

Ottant’anni fa il mondo uscito dalla Seconda guerra mondiale, o meglio l’insieme dei Paesi che l’avevano vinta, decise di dotarsi di organismi globali che sarebbero serviti a prevenire nuovi conflitti e a imporre regole comuni a un mondo sempre più interdipendente.

Oggi, di fronte a una pericolosa crisi internazionale, la più grave da allora, quegli organismi si stanno rivelando di fatto impotenti.

L’ideazione dell’Onu, e degli enti collegati come la Corte penale internazionale e l’Organizzazione mondiale della sanità per citarne solo alcuni, cominciò dopo che la guerra tra l’alleanza Germania-Italia-Giappone e le potenze alleate aveva dimostrato l’inutilità della Società delle nazioni con sede a Ginevra.

Il nuovo ente internazionale, si decise, doveva essere meglio strutturato: avere sì un’assemblea generale in cui ogni Stato ha un voto, ma anche un consiglio di sicurezza per far fronte alle crisi, composto da membri a rotazione e membri permanenti con diritto di veto: sono i Paesi vincitori di quella guerra più la Cina (inizialmente Taiwan poi la Repubblica Popolare Cinese), le principali ma non le uniche potenze nucleari. Per molti decenni è sembrato che l’Onu così concepita servisse, certo non a impedire le tante guerre che si sono susseguite soprattutto in Asia e Africa, ma almeno a mantenere un equilibrio tra i Paesi dotati delle armi più minacciose.

Oggi è bastato che una grande potenza nucleare decidesse di ignorare qualsiasi vincolo e impegno per dimostrare l’incapacità d’azione di quegli organismi.

Le inchieste e le mozioni su Gaza sono impotenti contro Israele, che tratta l’Onu e le sue emanazioni come espressione delle forze che vorrebbero distruggere la sua stessa esistenza, mentre lo stesso Netanyahu e Putin viaggiano nel mondo irridendo i mandati di arresto della Corte penale internazionale, e le dichiarazioni del segretario Onu Guterres non fanno più notizia.

Può essere una riprova di quello che molti hanno sempre temuto: il diritto internazionale, a differenza dal diritto dei singoli Stati basato sui loro apparati di forza, vale solo quando c’è accordo tra chi deve rispettarlo. Se qualcuno decide di romperne le regole con la violenza finisce la sua efficacia. Ma è la stessa concezione dell’Onu a essere più fragile di quanto sembrasse. Ha aiutato ad affrontare qualche crisi nei decenni della Guerra fredda e del cosiddetto equilibrio del terrore quando le maggiori potenze, divise su tutto, erano però d’accordo nello spartirsi il controllo del pianeta.

Ed è sembrata utile ancora per qualche tempo, mentre prendevano forma nuovi assetti globali.

Ora nessuna delle maggiori potenze sembra più credere nella sua funzione, tutte usano i loro poteri (a cominciare dal diritto di veto nel consiglio di sicurezza) per bloccare le decisioni a loro sgradite.

C’è poi un’altra fragilità: siamo in un mondo di 195 Stati, molti dei quali hanno un Pil più piccolo di quello di una grande città occidentale. Molti stati inoltre sono dilaniati da conflitti che rendono del tutto non rappresentativi coloro che li “rappresentano” all’Onu.

In questa situazione le votazioni “democratiche” delle Nazioni unite possono avere un valore simbolico ma non condizionano realmente chi ha la forza, prima di tutto nucleare, ed è deciso a usarla.

Se le organizzazioni internazionali intendono essere utili di fronte a crisi gravi come quella attuale dovrebbero ridefinire radicalmente le proprie regole e la propria funzione. Questo però è il momento più difficile per farlo. 

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