Il nuovo Papa Prevost, un centrista che spiazza gli estremisti
L’elezione del papa americano lascia scontenti i bergogliani più “radicali” e i conservatori più intransigenti. Trump avrebbe certo preferito qualcuno meno schierato a fianco dei migranti e più prudente nell’invocare subito una pace disarmata e disarmante


Un papa americano per la Chiesa di Roma. Il Conclave sceglie il cardinale Prevost, che sale al soglio di Pietro con il nome di Leone XIV, sospinto da alcune caratteristiche: l’essere molto conosciuto, in quanto responsabile vaticano del dicastero dei vescovi, ruolo che gli ha consentito di stingere legami con molti cardinali-elettori ammessi nella Cappella Sistina, e sopratutto essere un “centrista”. Posizione, questa, determinante in una Chiesa che ha scelto di far oscillare il suo storico pendolo nel tentativo di attutire l’impatto di Francesco.
L’elezione di Prevost lascia scontente solo le estreme: i bergogliani più “ radicali”, timorosi che l’intento di contenere le spinte indotte dal papa argentino riportino indietro la Chiesa; i conservatori più intransigenti, in buona parte esponenti dell’episcopato americano, che lo trovano, comunque, troppo progressista, anche se, da teologo, è dottrinalmente meno aperto sul tema dell’inclusione di donne e Lgbt nella vita ecclesiale.
Leone XIV è una guida che può soddisfare, almeno inizialmente, la maggioranza di ambedue questi schieramenti. Non bisogna dimenticare che l’agostiniano Prevost ha svolto una lunga attività missionaria e pastorale in Perù, che gli ha dato una sensibilità particolare per i poveri.
I progressisti, poi, vedono in lui un papa americano poco disponibile verso Trump, che certo avrebbe preferito qualcuno meno schierato a fianco dei migranti e più prudente nell’invocare subito, come ha fatto Leone XIV dalla Loggia delle Benedizioni, una pace disarmata e disarmante.
Insomma, Prevost non si annuncia affatto un papa conciliante con l’America del tycoon tornato alla Casa Bianca e soprattutto con il vicepresidente Vance, fresco convertito al cattolicesimo e vero ideologo dell’America rinchiusa nelle sue certezze identitarie, che l’ancora cardinale nominato da Bergoglio ha di recente criticato.
Prevost è, dunque, un grande conoscitore del Sud del mondo, alle prese con molti problemi sociali e religiosi: a partire da un fenomeno di grande impatto in America latina, in Asia e in Africa, importanti bacini di fedeli di una Chiesa cattolica che ha perso seguito nell’Europa occidentalizzata e secolarizzata, come la penetrazione dei gruppi evangelici protestanti d’Oltreoceano.
Un fenomeno che ha effetti anche politici, dal momento che quell’attivistico universo è parte integrante dello schieramento di destra che, a partire dagli Usa, governa in molte aree del mondo secondo una logica di esclusione. Proprio quella logica che, nel suo discorso a San Pietro, Leone XIV ha detto di voler rifiutare esortando, invece, a «costruire ponti».
Come sempre, sarà «l’abito a fare il papa». Saranno le sue scelte quotidiane a dire dove il nuovo Pontefice condurrà la Chiesa. Di fronte si trova importanti nodi da sciogliere: a partire dall’effettiva sinodalità reclamata dai cattolici, che non si limitano a credere, ma vogliono anche essere Chiesa, al dialogo con le altre religioni, sino all’impegno per una pace messa sempre più alla prova da forze che agiscono calpestando ogni regola del diritto internazionale nonché il senso del limite.
Riproduzione riservata © il Nord Est