II Natale senza luci dei nuovi poveri
L’ex Nord Est del benessere diffuso è oggi in prima linea nell’impoverimento dilagante. La povertà è una pandemia che aggredisce non solo chi è in miseria cronica, ma pure tanti che un lavoro ce l’hanno, però precario e pagato poco e male

Il Natale degli invisibili. Mentre le cronache della vigilia ci raccontano di menu casalinghi pantagruelici e di tutto esaurito nei ristoranti, un rapporto Actionaid ci segnala che 6 milioni di italiani non possono permettersi di consumare un pasto normale ogni due giorni; e l’Istat ci fa sapere che 4 milioni devono chiedere aiuto per poter comperare cibo.
Quella della tavola è solo una delle facce, anche se la più importante, di un degrado che ormai da anni intacca la vita civile del Paese: la povertà è una pandemia che aggredisce non solo chi è in miseria cronica, ma pure tanti che un lavoro ce l’hanno però precario e pagato poco e male.
Per troppe famiglie il carrello della spesa alimentare è diventato un campo quotidiano di battaglia, con rincari che superano di gran lunga l’inflazione. Negli ultimi cinque anni il suo costo è cresciuto del 26 per cento, a fronte di un incremento del 19 dell’indice generale dei prezzi al consumo; a pesare sono alcuni generi di base, come l’olio che nello stesso arco di tempo è aumentato del 58 per cento, il riso del 52, il caffè del 40.
Nell’ultimo anno la spesa alimentare è cresciuta di oltre il 4 per cento; col burro che è rincarato del 20, il caffè del 25, gli agrumi del 16. Per mangiare si rinuncia perfino a curarsi; ma si può acquistare sempre meno, perché quote crescenti di pur modesti redditi vengono erose dalle bollette e dagli affitti.
E i salari, comunque, sono da fame: gli stipendi italiani sono fermi agli anni Novanta, mentre in Germania sono cresciuti del 20 per cento, e in Francia del 25. L’Ocse ci ha appena spiegato che da noi, tra il 2021 e il 2025, i salari reali sono addirittura calati del 7 e mezzo per cento.
Questo andamento sta mettendo in ginocchio quote crescenti di italiani. Ad oggi, poco meno di 6 milioni di persone sono nella condizione di povertà assoluta, cioè non riescono ad arrivare alla terza settimana del mese; ed altre 8 e mezzo versano nello stato di povertà relativa, cioè faticano ad arrivare a fine mese. In totale, un cittadino su quattro.
Sono solo la punta d’iceberg di un disagio diffuso: lo scorso anno, ben 30 milioni di italiani hanno presentato la domanda Isee in cerca di assistenza: è lo strumento che misura il livello economico di una famiglia, e serve per accedere a bonus e prestazioni sociali agevolate, in altri termini per ottenere aiuto dallo Stato. Significa che metà della popolazione è in crisi: percentuale in costante aumento, mentre continua ad aumentare la forbice tra i pochi che hanno sempre di più, e i tanti, troppi, che hanno sempre di meno.
L’ex Nord Est del benessere diffuso è oggi in prima linea nell’impoverimento dilagante. In Veneto il 12 per cento della popolazione, pari a 600 mila abitanti, è classificato a rischio povertà ed esclusione sociale; e 4 lavoratori su 10 sono etichettati come “working poors”, cioè retribuiti con salari che non consentono loro di stare al passo col costo della vita. Particolare ancora più drammatico, in un solo anno la quota di giovani tra i 18 e i 30 anni in condizioni di lavoro precario è salita del 38 per cento, collocando il Veneto al secondo posto nazionale di questa urticante graduatoria.
In Friuli Venezia Giulia è a rischio povertà più del 12 per cento della popolazione, pari a 147 mila abitanti; per 40 mila persone è impossibile comprare i farmaci per curarsi. Gli sportelli Caritas e Sant’Egidio, molto diffusi a Nord Est, toccano ogni giorno con mano il progressivo scivolare nella miseria. È basso oggi l’orizzonte, nel cielo di questo Natale italiano.
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