Pippo Baudo, l’arcitaliano che assecondava i gusti altrui

Ha incarnato in tv con abilità sopraffina l’egemonia culturale e la medietà nazionale tanto care alla Dc

Massimiliano PanarariMassimiliano Panarari
Simona Ventura all' auditorium Conciliazione per la Notte dei Telegatti 2006 riceve il premio Pippo Baudo e Michelle Hunziker
Simona Ventura all' auditorium Conciliazione per la Notte dei Telegatti 2006 riceve il premio Pippo Baudo e Michelle Hunziker

«L’Arcitaliano». E il pensiero corre verso le varie sfaccettature antropologiche dell’idealtipo del nostro connazionale portate al cinema da Alberto Sordi. Ma ce n’è stato anche un altro, che in queste giornate tutto il Paese sta piangendo, anche perché ha saputo esserne uno specchio e, a sua volta, rispecchiarvisi dentro. Stiamo naturalmente parlando di Pippo Baudo, per il quale vale seriamente l’etichetta gobettiana dell’autobiografia della nazione.

Non è un’esagerazione o un’iperbole, piuttosto un semplice (e incontestabile) dato di fatto. In questo caso, lo slogan rende perfettamente la capacità del conduttore, presentatore e molto altro di origini catanesi di rappresentare un idem sentire nazionale e un (lungo) periodo storico. Amplificato e diffuso attraverso la televisione, divenuta un potere capace di orientare le predilezioni collettive anche in virtù di personaggi epocali e longevi come lui, ma che in qualche modo preesisteva e andava a identificarsi con una delle manifestazioni di fondo dell’essere italiani.

Questo spirito di italianità positivo – specie se messo a confronto con la spinta alla contrapposizione e alla polarizzazione che la tv non “di rito baudiano” mette tuttora quotidianamente in scena – era illustrabile anche per mezzo della formula (nata, per paradosso, con scopi polemici e denigratori) di «massimo esponente dell’ideologia nazional-popolare».

Il pippobaudismo ha attraversato il Novecento realizzando una vera e propria egemonia culturale mediante la Rai (quella plasmata da Ettore Bernabei e rimodulata a sinistra da Angelo Guglielmi, che lo ripescò dopo il purgatorio in cui venne gettato a causa della breve e problematica avventura presso i competitor di Fininvest). A essa contribuì anche un’identificazione con la maggioranza del Paese di tipo politico-culturale: così, l’equazione fra Pippo Baudo e la Democrazia cristiana è ben più di una suggestione. Non soltanto per i convincimenti personali del conduttore, ma soprattutto perché lui è stato per la “televisione di Stato” quello che la Dc (il “partito-Stato” e “della nazione”) ha rappresentato appunto per il Paese. Anche se, va sottolineato, il celebre presentatore rivendicò la propria autonomia nei confronti di certe decisioni dei vertici politici della tv pubblica anche a suon di liti burrascose.

Quella capacità democristiana di farsi rappresentazione – e rappresentanza – della medietà nazionale, però guidandola e incanalandola, la si ritrova infatti pure, sotto molti profili, nello stile di conduzione e nel modo baudiano di fare tv interclassista, con la sua abilità sopraffina nell’assecondare i gusti del pubblico, “normalizzando” qualsiasi contenuto (oppure ospite che dir si voglia), e lasciando nondimeno in ogni trasmissione qualcosa in più per fare avanzare – senza strappi né atti rivoluzionari, ma «con giudizio» e moderazione – le abitudini dei telespettatori.

Al pari di una delle sue tante scoperte (Fiorello), Pippo Baudo risulta assimilabile alla categoria del “divo comune” o “divo per caso”. Dotato di un considerevole professionismo e di uno specialismo competente che assumeva tratti di precisione certosina (e quasi di «benevola maniacalità») nella preparazione, il “divo”, in questa fattispecie, ha saputo mantenere il carattere rassicurante (e, giustappunto, sornionamente democristiano, per usare il linguaggio politico della Prima Repubblica) che sta alla base di questa peculiare tradizione italiana e, in cambio, il telespettatore accettava di riconoscergli un primato. Quello che ha contraddistinto tutta la parabola lavorativa e artistica dell’«ultimo gigante» (come ha scritto ieri su queste pagine Fabrizio Brancoli). —

 

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