La pax imperiale fra Trump e Putin: una sconfitta per Zelensky e l’Europa
Dal summit non è uscito alcun accordo e neppure l’ipotesi di un cessate il fuoco

Ha detto molte cose il vertice tra Putin e Trump. Mentre l’attenzione del mondo era rivolta all’Ucraina, è andata in scena l’esibizione di due leader che vogliono forgiare un nuovo ordine mondiale. È significativo, a proposito di Ucraina, che dal summit non sia uscito, causa i niet putiniani, non solo un accordo ma nemmeno l’ipotesi di un cessate il fuoco, pre-condizione per qualsiasi serio negoziato.
Strategia che consente allo “zar” di trattare da posizioni di forza e sottoporre a Zelensky, con il sostanziale assenso di Trump che ora conviene con Putin sulla posizione “accordo globale o nulla”, un diktat più che un deal.
Putin esce più forte da Anchorage. Ha tenuto la posizione, ribadendo la necessità di affrontare le “cause profonde” del conflitto. Espressione che, nel linguaggio del Cremlino, significa essenzialmente la necessità del riconoscimento della sfera d’influenza russa sulle repubbliche ex-sovietiche.
Concretamente, nella specifica vicenda, non solo il ritorno della Crimea, e delle altre quattro provincie contese a Kiev, alla Russia ma anche la demilitarizzazione dell’Ucraina e il no al suo ingresso nella Nato se non nella UE. Alla vigilia del vertice, Trump aveva confusamente messo sul piatto uno “scambio di territori”: ma quali? gli ucraini non controllano parti significative della Russia dopo il fallimento dell’operazione nell’oblast del Kursk.
In realtà, come è stato confermato dalla Casa Bianca, si tratterebbe di cedere alla Russia la parte non occupata, ma rivendicata da Mosca, di province come il Donetsk. In cambio, Putin congelerebbe le ostilità sulle attuali linee e si impegnerebbe a non attaccare l’Ucraina o altri paesi europei. La parola passa ora al presidente ucraino ha sottolineato Trump che, nei prossimi giorni, tenterà di fargli bere l’amaro calice.
Un’intesa, quella tra Trump e Putin, che ridurrebbe gli europei, principale pilastro del sostegno a Kiev, a passivi notai della pax imperiale russo-americana che, peraltro, Trump vorrebbe strumentalmente condivisa dagli storditi alleati, invitati a partecipare al vertice con Zelensky. Per capire l’aria che tira a Washington, nel colloqui post-vertice con gli europei, Trump non ha fatto minimamente cenno a nuovi strumenti di pressione su Putin, nemmeno a ulteriori sanzioni.
È evidente, nelle scelte della Casa Bianca, l’intento di ridare forma a un bipolarismo neoimperiale con il Cremlino. Nuovo ordine significativamente evocato dal ministro degli esteri russo Lavrov, giunto in territorio americano indossando, non certo per distrazione, una felpa con la scritta CPPP, inequivocabile riferimento al ruolo di superpotenza dell’Urss e, ancor più, dalla calda accoglienza tributata a Putin da Trump.
L’inquilino della Casa Bianca ha steso, non solo metaforicamente, un tappeto rosso allo “zar”, applaudito, ospitato nella sua vettura blindata, chiamato confidenzialmente Valdimir. Segnali espliciti della fine dell’isolamento della Russia voluto da Biden e dagli alleati europei degli Usa.
Tra Trump e Putin vi sono importanti assonanze: l’insofferenza per la democrazia, una concezione plebiscitaria del rapporto tra popolo e leader, il disprezzo per l’Europa e il multilateralismo.
Colpisce vedere Putin “avvisare” minacciosamente gli europei di non mettersi di traverso sull’accordo sull’Ucraina nel silenzio di Trump, formalmente il loro principale alleato. Ennesima dimostrazione di un rapporto che, come ha mostrato la vicenda dazi, non si fonda più su convergenze strategiche di lungo periodo. In questa visione, la UE è per l’America, che preferisce asimmetriche relazioni con singoli paesi membri, solo un ostacolo.
È, dunque, la palese esibizione del ricostituito potere bipolare il frutto avvelenato del passaggio a Nordovest di Trump e Putin. Una realtà che gli europei, veri sconfitti insieme a Zelenski della nuova intesa ostentata in Alaska, non possono ignorare.
Non basta chiedere garanzie di sicurezza per l’Ucraina sul modello dell’articolo 5 Nato: bisogna anche poterla assicurare in caso di possibile defezione Usa. Consapevolezza che dovrebbe spingerli a marciare sulla via di una comune politica estera e di difesa, che consenta all’Unione di sottrarsi alle brutali e paralizzanti logiche dell’era che si annuncia.
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