La tempesta perfetta è demografica e il Nordest è senza un piano B

Il Friuli Venezia Giulia è con la Liguria la regione più vecchia d’Italia. E il Veneto è in coda per capacità di attrarre risorse generazionali

Francesco JoriFrancesco Jori

In via di estinzione. In silenzio e senza reazioni autentiche, l’Italia sta assistendo alla scomparsa della specie più strategica del suo ecosistema: i giovani. Ci ha appena segnalato l’Istat che da qui al 2050, dunque lo spazio di una generazione, il 35 per cento della popolazione (più di un terzo...) avrà oltre 65 anni, mentre i ragazzi sotto i 14 anni scenderanno sotto il 12 per cento: dunque un rapporto di 3 a 1.

«Il Paese ha oltrepassato il punto di non ritorno», annota l’Istituto; anche perché negli scenari prossimi venturi le nascite continueranno a essere meno delle morti, causa soprattutto la diminuzione delle donne in età fertile. E neppure il saldo migratorio basterà a compensare il rosso di bilancio dell’anagrafe.

Il Nord Est è in prima fila in questa tempesta demografica perfetta. Il Friuli Venezia Giulia è con la Liguria la regione più vecchia d’Italia: un abitante su quattro è anziano, quattro punti sopra la media nazionale; tra dieci anni avrà 380 mila over 65, contro 120 mila under 14.

Nello stesso arco di tempo, in Veneto gli ultra 65enni cresceranno del 20 per cento; con un’anagrafe sempre più grigia, considerando che i “grandi anziani”, quelli con più di 80 anni, sfioreranno il mezzo milione, come dire oltre il 10 per cento della popolazione. Il ricambio generazionale non solo è sempre più carente per il crollo delle nascite, ma anche per la fuga altrove: i giovani nordestini se ne vanno ormai a decine di migliaia; in compenso, ne arrivano sempre di meno.

Esemplare il caso di un Veneto che tanto ci tiene a sbandierare primati, tranne quelli negativi: da oltre dieci anni è in coda tra le regioni italiane, assieme alla Lombardia, per capacità di attrarre risorse generazionali; a differenza della vicina Emilia, che invece ne richiama.

Ha ricadute esiziali, quella che gli studiosi hanno ribattezzato «glaciazione demografica» rispetto alla precedente immagine di «inverno». A partire dall’economia: spiega l’Istat che entro il 2050 la popolazione italiana in età da lavoro, tra i 15 e i 64 anni, perderà oltre sette milioni di persone, riducendosi al 54 per cento del totale. Ancor peggio toccherà al fondamentale capitolo della salute: persone sempre più anziane e sempre più sole (sei milioni e mezzo queste ultime tra vent’anni, due milioni in più rispetto ad oggi) richiederanno cure e servizi specifici specie in rapporto a malattie croniche come la demenza, il parkinson, il diabete.

Per prevenire questa autentica Caporetto demografica, l’Istat indica una chiarissima, ineludibile via d’uscita: un ripensamento profondo delle politiche sanitarie e sociali. Con «un sistema di cura che dovrà adattarsi: più assistenza a domicilio, più servizi integrati, più supporti tecnologici per mantenere l’autonomia».

Lo sappiamo da anni, anzi da decenni; ma continuiamo a rimanere inerti. La politica persevera nell’accapigliarsi su ogni questione grande o piccola, dalle guerre in Ucraina e a Gaza agli ombrelloni vuoti in spiaggia; ma non si occupa & preoccupa di futuro.

Il sistema economico, pubblico o privato che sia, retribuisce poco e male chi lavora, e lo demotiva nelle possibilità di crescita. L’impianto sociale, dalla famiglia alla scuola alle agenzie educative, si avvita sul consumo a oltranza di beni e soprattutto valori, senza pensare seriamente a far crescere il domani.

Ormai un secolo fa, Bertolt Brecht denunciava quelli che «segavano i rami sui quali erano seduti, e precipitarono con uno schianto; e quelli che li videro scossero la testa, segando e continuarono a segare». Stiamo abbattendo, con le nostre stesse mani, l’albero della vita. 

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