Perché l’Italia in Europa pesa poco

Il trattare la politica europea come secondaria non è il solo motivo del ridotto peso dell’Italia nell’Ue. Entrambe le coalizioni sono spaccate proprio sui temi principali dell'azione comunitaria

Peppino OrtolevaPeppino Ortoleva
L'edificio dell'Europarlamento a Strasburgo
L'edificio dell'Europarlamento a Strasburgo

Qual è il peso dell’Italia nelle scelte e nelle decisioni dell’Unione europea? Il minimo che si possa dire è che non è proporzionato alle dimensioni del Paese, della sua economia e delle sue ambizioni in politica internazionale.

I motivi? Basta leggere gli articoli, tra il divertimento e la deplorazione, che compaiono di tanto in tanto sulle migliori testate estere. Una recente inchiesta di politico.eu, per esempio, fa notare la scarsa rilevanza che ha il nostro Partito democratico nell’Alleanza dei socialisti e democratici europei, di cui pure sono la componente più numerosa.

Questo dipende sia dalla spaccatura interna al partito, sia e soprattutto dal fatto che, a sinistra quanto del resto a destra, i politici italiani al Parlamento di Strasburgo sono tra i meno interessati al lavoro quotidiano di alleanze, mediazioni, ma anche di progettazione e realizzazione, di cui è fatta sempre la politica. E, del resto, molti di loro non potrebbero neanche volendo, visto la limitata, e in qualche caso nulla, conoscenza della lingua inglese e vista la saltuarietà delle presenze.

Il fatto, pure notato con stupore, che la presidente del Consiglio si sia candidata come capolista per il suo partito a un Parlamento europeo dove non sarebbe mai potuta andare, così come del resto ha fatto in alcune circoscrizioni la segretaria Pd, indica che per i partiti italiani quelle elezioni sono prima di tutto un test per le votazioni nazionali, le sole «che veramente contano».

Così, in larga parte ad andare veramente a Strasburgo, oltre qualche figura di rilievo che si fa poi notare per il suo assenteismo come Matteo Salvini, sono soprattutto politici in attesa di trovare una collocazione che considerano di maggiore importanza, oppure personaggi che per un motivo o per l’altro vanno accontentati.

Non è un contentino da poco, uno stipendio netto mensile di oltre ottomila euro, cui se ne aggiungono circa cinquemila di “spese generali” e altri benefit vari. Compensi a cui corrisponde un tasso di partecipazione alle sedute tra i più bassi.

È seguendo la logica di “scaricare” sull’Europa figure a cui non si trovava posto nella politica italiana che nel 2014 Matteo Renzi spostò Federica Mogherini da suo ministro degli Esteri alla carica di Alto rappresentante per gli Esteri e vicepresidente della Commissione europea: un ruolo che occupò per cinque anni senza ottenere per sé, per il suo Paese o per l’Europa stessa nessun risultato di rilievo che adesso si ricordi.

Ma il trattare la politica europea come secondaria non è il solo motivo del ridotto peso dell’Italia nell’Ue. Entrambe le coalizioni sono spaccate proprio sui temi principali dell'azione comunitaria.

A destra, Matteo Salvini addita Bruxelles come colpevole di quasi tutti i problemi, mentre Forza Italia è dichiaratamente europeista. In mezzo tra loro, Giorgia Meloni lancia continuamente accuse contro le politiche della Commissione, soprattutto in materia ambientale, e difende la regola delle decisioni unanimi, causa principale della paralisi europea.

A sinistra, il Pd è spaccato su tutto, come evidenzia la già citata inchiesta di politico.eu, spinto verso posizioni oscillanti soprattutto in materia di difesa dalla pressione degli alleati "pacifisti". Che sono del resto ambigui sull'Europa: basti pensare che il Movimento 5 Stelle, ora parte con Verdi e Sinistra del gruppo The Left, dieci anni fa era alleato con il più antieuropeista di tutti i partiti, quello del britannico Farage.

Confusa, divisa, largamente indifferente ai temi europei, la politica italiana contribuisce a indebolire l’Ue. E a indebolire se stessa. 

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