L’intesa tra Trump e Xi è possibile, in barba all’Ue

I due leader hanno parecchio in comune sul modo di gestire il potere. In questo scenario, non c’è posto per l’Europa

Marco ZatterinMarco Zatterin
Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump
Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump

Donald Trump dice che, l’anno prossimo, Xi Jinping potrebbe fargli visita «a Washington, a Palm Beach, o in un altro posto». A Mar-a-Lago, probabilmente, in quel lembo di Florida dove il presidente cinese è già stato nell’aprile 2017, nel tempo in cui il tycoon da poco alla Casa Bianca giurava che l’uomo di Pechino «gli piaceva e gli era sempre piaciuto», anche perché gli pareva «un individuo estremamente brillante capace di governare oltre un miliardo di persone col pugno di ferro».

Fra i due, assicurava l’americano, si era creata «una alchimia molto speciale» che, si sente ripetere adesso, è immutata nonostante l’aspra guerra commerciale. «Credo di piacergli molto – dichiara l’immobiliarista newyorchese – e mi rispetta, come rispetta molto il nostro Paese: avremo un accordo vincente per entrambi».

Non si sa mai, quando c’è The Donald in mezzo, ma stavolta può succedere. I due presidenti hanno parecchio in comune: gestiscono il potere in modo deciso se non autoritario, non amano la concorrenza, hanno fiumi di denaro a propria disposizione e governano mercati complementari. Xi è nei fatti più attento al futuro, da anni investe nell’innovazione, finanzia la ricerca e ha dimostrato una qualche per quanto intermittente considerazione per i problemi climatici.

Questo lo rende più moderno di Trump e gli consente di tenere più spesso il coltello dalla parte del manico. Sotto-sotto, andare a stringere un’intesa sui metalli rari, d’accordo sui sistemi che devono utilizzarli, permetterebbe loro di realizzare la premessa per un mondo bipolare post-globale basato sui regionalismi in cui siano loro a dare le carte. Una Yalta digitale è una possibilità concreta, soprattutto se il cinese aiuterà a fermare Putin.

In questo scenario non c’è posto per l’Europa, potenza debole e divisa per colpa prevalente dei suoi azionisti, incapace di esprimere il potenziale, la forza dei numeri e del talento. Se Trump o Xi si svegliano con un’idea, la attuano, anche se riscrive le regole democratiche e/o i diritti. L’Unione europea rispetta i suoi cittadini e agisce con processi decisionali pensati per tirare a bordo i rappresentanti di tutti e ventisette gli Stati. È il modo giusto, non il più funzionale.

Al patto sino-americano atteso sulle materie prime, Bruxelles risponde minacciando l’uso degli strumenti anti coercizione contro Pechino se non si interverrà sui vincoli all’export di terre rare che limitano l’industria tecnologica comunitaria. Poi propone “RESourceEu”, un piano di approvvigionamento dei metalli preziosi basato su collaborazioni con Ucraina e Australia, Canada, Kazakistan, Uzbekistan, Cile o Groenlandia.

Capita però che, se Trump e Xi si intendono, subito si comincia e subito si accantona l’Europa, rivale non adorata e spesso scomoda. Invece, la contromossa dell’Ue impone negoziati interni e no, architettura legale, consenso politico larghissimo. È il lampo contro la lumaca.

Così l’Ue rischia di diventare un Museo, padiglione di gloria passata. I due presidenti che si incontrano in Corea, oltre al business e alla tutela degli interessi nazionali (nazionali, ma non di tutti), sognano di relegare le dodici stelle a una bacheca del passato. Non è ancora detto che ce la facciano. Ma, con la connivenza di una parte dell’Unione ebbra di pensiero di breve termine, la strada che sembrano voler imboccare – speditamente, per giunta – è proprio questa. 

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