Il patto educativo che non balla: diffidenze e illusioni nella scuola di oggi

Tra firme rituali, idee che restano sulla carta e responsabilità evocate ma non vissute: perché il “Patto di corresponsabilità” non parla davvero a studenti e famiglie

Roberta Durante

Forse dovremmo gioire di tutto questo mondo che torna alla teoria. Un mondo riflessivo, filosofico, un mondo in cui tutto è scritto e perciò canta. Ma non c’è un giardino di Academo nei paraggi e questo insospettisce subito i filosofi. Sarà mica che i veri innamorati del mondo delle idee sono, infine, i pragmatici? Non saprei, sarebbe assurdo. So però che quando un fatto della realtà smuove una che scrive poesie, c’è qualcosa del mondo vero che cozza con le parole.

Uno spettro si aggira per la scuola, è lo spettro del patto educativo di corresponsabilità. È un patto, lo hanno chiamato così e subito entrano in scena i guerrieri di Valois. In copertina al patto che fanno firmare ai genitori degli studenti all’inizio dell’anno scolastico ci sono tre figure che tengono in mano un pezzo di puzzle rimanendo staccate, non aderiscono. Cattivo presagio. Le tre figure sono la scuola, la famiglia, lo studente. Tutti e tre diffidenti, sono vicini, ma non si toccano. Se alzassero le braccia misurerebbero la distanza che si richiede al karateka per evitare lo scontro nella gara di dimostrazione. Dunque è un patto di diffidenza, come prima prova, non è prevista reale realtà: carne, collisione, sangue, abbraccio. Tengono le distanze. E in effetti i patti hanno un po’ quest’aria circospetta. Una sorta di do ut des che a volte convince poco perché è un do ut des da firmare, una cosa di carta, che canta, ma non balla: non aderisce alla vita.

Questa eventualità, per fortuna, è sollevata nelle linee guida che regolano il patto: un valore va, sì, postulato ma diventa tale soltanto se illumina l’agire indirizzandolo verso risultati ad esso coerenti. Ma cos’è allora tutta questa diffidenza? Perché non prendere il patto e snocciolarlo con gli studenti in classe? Perché non renderlo comprensibile davvero ai bambini?

I tre guerrieri non si muovono di un millimetro e alzano gli occhi al cielo. E qui è il punto, quello che regolarmente accade alla stipula del patto. Si alzano gli occhi al cielo. Ed è anche la seconda prova e fa un indizio: tutte le belle parole trascritte in queste linee guida verranno puntualmente trascurate. Le idee, soprattutto quelle buone, non servono a nulla, ci dice il patto nel momento in cui entra a contatto con la carne.

Il patto non verrà letto, ma soprattutto non verrà condiviso realmente tra i protagonisti, non sarà vivificato. Spuntare il patto nel registro elettronico e il cuore è in pace. Sembra quasi che i maggiori subbugli derivino da questi esoscheletri calati sulla realtà.

Alla presa visione, moderna, tecnologica, poiché della modernità ancora non ci fidiamo del tutto, si aggiunge poi la pratica feudataria: il patto va firmato sotto gli occhi del docente. Spunta online e stipula valvassore-vassallo. Se si sia letto il patto, tra le parti, non fa nulla. L’importante è firmarlo entro una certa data di ottobre. Perché? Ovviamente perché una volta firmato il patto si è responsabili in due, in tre. Ma responsabili di cosa? Perché in quel patto, la responsabilità più grande è liquidata così: i valori educativi sono il successo scolastico e lo sviluppo delle competenze chiave. E questa è la terza prova che non fa un indizio, ma il luogo del delitto. 

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