Pace ritrovata a cavallo tra il confine
Nova Gorica-Gorizia, Go!2025 è il simbolo di una cultura che rinverdisce e rafforza gli ideali europei che proprio perché comuni diventano capaci di far convivere più identità


Una Capitale europea della cultura che, come Gorizia-Nova Gorica, si definisce orgogliosamente transfrontaliera, richiama in maniera inevitabile il tema del rapporto tra identità culturali nazionali.
Un tema da trattare con cura perché, fattore di arricchimento reciproco di comunità fondate su valori condivisi, diventa strumento di discordia quando porta ad armare i confini, ad alimentare spirali di odio dagli esiti anche tragici. Ho avuto l’onore di rappresentare il Nord Est italiano al Parlamento europeo nei primi dieci anni di questo secolo.
Un periodo caratterizzato dal “grande allargamento” della Ue che ha interessato, oltre a Malta e Cipro, sette Paesi appartenuti all’ex blocco sovietico e la Slovenia ex jugoslava. La sera del 4 maggio 2004 ero a Gorizia nella piazza tagliata dal confine del 1947 in rappresentanza del mio gruppo parlamentare per partecipare alla solenne celebrazione dell’evento.
Ero arrivato preparato e avrei continuato a farlo per dare il mio contributo soprattutto, per dovere di collegio, a ogni decisione o azione tesa a trarre il massimo vantaggio dallo sfumarsi dei confini italo-sloveni.
Su suggerimento dell’amico Giacomo Borruso, compianto rettore dell’Università di Trieste, avevo letto il romanzo “Il gelso dei Fabiani. Un secolo di pace sul Carso”, libro del 1975 dello scrittore Renato Ferrari. Un long seller – mi disse Borruso - che racconta come il Goriziano sia stato uno spazio di incontro tra i mondi latino, germanico e slavo prima che i nazionalismi del Ventesimo secolo ne lacerassero il tessuto sociale.
Un esempio, il Goriziano asburgico, di convivenza armoniosa tra identità culturali – italiana, austriaca e slovena – che coesistevano in un quotidiano caratterizzato da scambi e intrecci tra le varie comunità.
Contesto idilliaco che la Prima guerra mondiale sconvolge, portando alla militarizzazione dei confini e all'emergere i quelle contrapposizioni nazionali che la Seconda guerra mondiale porterà fino agli esiti tragici dell’occupazione italo-tedesca della Jugoslavia e dell’orrore delle foibe e dell’esodo.
È solo ricordando che è stato possibile reciprocamente garantirsi cento anni di convivenza pacifica arricchita dalla diversità culturali – suggeriva Giacomo Borruso – che diverrà possibile far sì che queste non vengano usate come clave per alimentare contrapposti nazionalismi.
È anche in questa logica della speranza che va letta la scelta di Nova Gorica-Gorizia come Capitale europea della cultura 2025.
Il pendolo della storia, che dal 1920 al 2004 ci ha allontanato da quell’armoniosa convivenza, dal 2004 a oggi si sta fortunatamente muovendo all’incontrario sotto l’egida del multiculturalismo europeo fondato, come ha ricordato l’altro giorno il presidente Sergio Mattarella, sui valori «di umanità, democrazia, eguaglianza di diritti, solidarietà» che l’Unione europea sembra oggi la sola a voler tutelare entro la cornice dello stato di diritto. Go!2025 è in questo senso esemplare. Una Capitale della cultura europea che esalta il suo essere transfrontaliera, dentro l’Ue.
«La nostra patria comune», l’ha definita la presidente della repubblica slovena, Nataša Pirc Musar, durante il rito di apertura. Una cultura europea che celebra la caduta dei confini.
E non solo quelli fisici, che la bizzarria della storia ha creato nel 1947, quando il trattato di Parigi ha spostato a Ovest il confine tra Italia e Jugoslavia tagliando in due Gorizia, e che l’Unione europea ha cancellato nel 2004. Go!2025 è anche un esempio di superamento di confini culturali, asserviti a nazionalismi che hanno avvelenato la storia.
Nova Gorica-Gorizia, Go!2025 è il simbolo di una cultura che rinverdisce e rafforza gli ideali europei che proprio perché comuni e trascendenti diventano capaci di far convivere identità che si fertilizzano reciprocamente. Go!2025 ci dice che è possibile ritrovarsi, italiani, sloveni e anche austriaci, attorno al Gelso dei Fabiani.
E se lo possono fare italiani, sloveni e austriaci sul Carso goriziano, lo possono fare anche tutti coloro che non intendono rinnegare l’umanesimo solidale europeo.
Riproduzione riservata © il Nord Est