La pace non cancella la giustizia
I delitti di Hamas non sono solo verso gli israeliani, tanto meno verso il loro attuale governo, e quelli di Netanyahu non sono solo verso i palestinesi, tanto meno verso la sola Hamas: sono, come dice una regola del diritto nato dopo la seconda guerra mondiale, contro l’intera umanità

Mentre il piano di pace in Medio Oriente sta muovendo i suoi primi passi, il clima nella pubblica opinione sta già cambiando: con il rischio, nel comprensibile ottimismo, di cadere in errori gravi.
Tutti speriamo che il piano di pace di Donald Trump, accettato da Israele e Hamas per una “prima fase”che promette il cessate il fuoco e la restituzione degli ostaggi, abbia effettivamente successo. Ma è bene ricordare che l’attuazione sta appena cominciando.
Fin da adesso, però, si stanno velocemente modificando l’immagine pubblica di Trump, che molti trattano come “uomo di pace”, dei capi di Hamas e di Benjamin Netanyahu.
Dopo tutto, ragionano in tanti, di fronte a un risultato prezioso come la fine delle ostilità si deve girare pagina, si devono accantonare odi e vendette, anzi, non accanirsi ad addebitare colpe. Il “merito” di aderire alla pace cancellerebbe tutto il resto.
Il problema è che i delitti di Hamas non sono solo verso gli israeliani, tanto meno verso il loro attuale governo, e quelli di Netanyahu non sono solo verso i palestinesi, tanto meno verso la sola Hamas: sono, come dice una regola del diritto nato dopo la seconda guerra mondiale, contro l’intera umanità.
È giusto in nome della pace garantire loro l’impunità? Non è giusto, né in linea di principio né pensando alle conseguenze concrete. In questi mesi si è parlato moltissimo di genocidio, il massimo di tutti i delitti. Meno si è parlato di crimini contro l’umanità, categoria distinta ma anch’essa gravissima.
E i due delitti non si escludono a vicenda. In ogni caso accusare Israele di genocidio non attenua i crimini di Hamas, né tanto meno li giustifica. Come gli orrori compiuti da Hamas non giustificano quelli israeliani.
Inoltre, ricordiamo, proprio quello stesso diritto nato alla fine della seconda guerra mondiale che ha definito i crimini di genocidio e contro l’umanità ha enunciato un altro principio fondamentale: “eseguire gli ordini” non è una scusante per chi commette delitti a cui si deve ribellare la stessa coscienza delle persone, indipendentemente dai comandi ricevuti.
Se e quando i procedimenti avviati presso la Corte Internazionale di Giustizia faranno il loro corso, nonostante le azioni volte a screditare quella corte messe in moto da molti Paesi, non ci si dovrà fermare ai capi.
I miliziani di Hamas colpevoli di strage, o macchiatisi di stupri, sono tutti personalmente responsabili. Come i soldati israeliani che hanno aperto il fuoco sulla folla affamata. Anche se poi in nome della pace le punizioni venissero condonate (scelta legittima) un giudizio deve essere emesso. Il condono presuppone la giustizia, non la cancella.
D’altra parte, se crimini di questa gravità venissero consegnati all’oblio, verrebbe soppressa l’idea stessa di responsabilità, e per i fatti più atroci.
I criminali potrebbero continuare a governare, resi ancora più pericolosi dall’averla fatta franca, e la fiducia nell’esistenza di un diritto riceverebbe un altro duro colpo.
Facciamo un esempio: nel 1989-91 ci si illuse che le “rivoluzioni di velluto” avrebbero messo fine a regimi colpevoli di tante atrocità dell’ex-Urss e dei regimi sudditi senza bisogno di punire i responsabili. Poco dopo un agente del Kgb (l’equivalente sovietico della Gestapo nazista), Vladimir Putin, salì al potere di una delle massime potenze militari e l’impunità, sua e dei suoi accoliti, sta rendendo il mondo pericoloso come non lo era più stato da ottant’anni.
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