L’Italia al bivio della crescita lenta
L’Ocse taglia la stima del Pil allo 0,5% nel 2025 ma evidenzia «progressi nel risanamento dei conti»

La tempesta dei dazi trumpiani non c’è stata, non ancora. «L’economia globale si è dimostrata resiliente», sintetizzano gli analisti dell’Ocse che valutano il 2025 con un aggettivo tanto comune quanto fuorviante. “Resilienza” è quando ti travolge uno tsunami e riesci a mantenere la posizione, mentre quello di cui ci sarebbe bisogna sarebbe una “resistenza”, cioè la capacità di affrontare la burrasca, non farsi abbattere e poi raggiungere condizioni migliori rispetto al punto di partenza.
La crescita planetaria non può contentarsi di ritrovarsi dov’era, soprattutto perché – assicura l’organizzazione che riunisce i trentasei Paesi più industrializzati nel rapporto pubblicato ieri – l’effetto della guerra commerciale voluta della Casa Bianca non si è espresso pienamente, lo scenario rimane “fragile” e la dinamica mondiale del Pil è “moderata”. Per questo, l’appello è chiaro per quanto dejà vu: «I responsabili politici devono affrontare le debolezze, promuovere ambiziose riforme strutturali, ridurre i gravami amministrativi, favorire la concorrenza e ottimizzare le finanze pubbliche, al fine di rafforzare in modo duraturo le prospettive di sviluppo e il tenore di vita». In un simile contesto, essere resilienti è, nella migliore delle ipotesi, appena metà dell’opera necessaria.
Ci sono ragioni di sollievo, e di moderato ottimismo, ma è evidente che non è il caso di fidarsi. Vale per tutti e in particolare per l’Italia che, dalla tavolozza dell’Ocse, emerge con tutte le sfumature di un Paese al bivio. Non va male come si temeva, e la fortuna di non essere costretti a scelte obbligate è una dote su cui capitalizzare. La crescita nazionale è lenta eppure avanza (2025: +0,5%; 2026: +0,6%; 2027: +0,7), rallentata dall’export in frenata (causa Trump) e dai consumi cauti (i salari reali sotto il livello pre-Covid). Tengono gli investimenti con il doping del Pnrr. «I rischi sono equilibrati”, precisa l’organizzazione parigina. Se però dovesse rincarare il costo del debito immenso, e l’export non dovesse ripartire, “lo scenario si deteriorerebbe».
Eccolo il crocevia, per una volta dotato di segnaletica. L’Ocse certifica i risultati ottenuti dal governo nel controllare il deficit e prevede che un’ulteriore discesa dei tassi potrebbe, oltre a schiacciare il costo dell’indebitamento pubblico, favorire l’accesso dei privati agli investimenti. Nel giorno in cui l’Istat conferma la tenuta del mercato del lavoro, e avverte della precarietà di una parte significativa dei nuovi posti in entrata come dell’invarianza degli inattivi, nella cabina di manovra dovrebbero chiedersi se non è meglio badare al benessere collettivo piuttosto che alla gestione del consenso.
Un esempio? L’organizzazione dei 36 invita a ristrutturare il sistema giudiziario per tagliare il numero dei cittadini in attesa di un verdetto e accorciare i tempi dei processi. «La crescita si riprenderà lievemente al calare dell’incertezza globale», si legge nella nota sull’Italia, dove ogni progresso è circoscritto nell’orto degli “zerovirgola”. La riscossa sarà intessuta di manovre di trasparenza che aiutino gli investitori a fare sul serio, pertanto aiuterebbe se si smettesse di fantasticare con leggerezza e ci si focalizzasse sulla sostanza di medio-lungo termine. Perché i sognatori, è vero, sanno vedere lontano. Ma, più spesso che no, dimostrano la pericolosa tendenza ad andare oltre la verità. —
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