Blitz a Gaza, sono a rischio identità e democrazia

Occupare la Striscia di Gaza significa, anche, porre fine al rilancio dell’ipotesi dei “due Stati”

Renzo GuoloRenzo Guolo
Un attacco aereo israeliano nella Striscia di Gaza il 31 luglio 2025
Un attacco aereo israeliano nella Striscia di Gaza il 31 luglio 2025

Netanyahu intende occupare stabilmente Gaza. Formalmente la decisione è motivata dall’impossibilità di liberare gli ostaggi mediante quella trattativa che lo stesso governo israeliano ha più volte interrotto. In realtà, Bibi ha bisogno della guerra permanente per evitare problemi politici e giudiziari e vincere le prossime elezioni.

Occupare la Striscia significa, anche, porre fine al rilancio dell’ipotesi dei “due stati”, tornata al centro della discussione internazionale dopo la svolta di Francia e Gran Bretagna sul riconoscimento della Palestina.

Il premier israeliano Benjamin Netanyahu
Il premier israeliano Benjamin Netanyahu

Una scelta gravida di incognite, quella annunciata da Netanyahu, ma del tutto in linea con quella della guerra a oltranza che il premier ha sempre perseguito. Lo hanno autorevolmente ricordato i seicento ex-esponenti dell’establishment - militare, diplomatico, dell’intelligence-, israeliano, che hanno chiesto a Trump di fermare Bibi.

Appello, ovviamente destinato a cadere nel vuoto con l’attuale inquilino della Casa Bianca, ma che toglie a Netanyahu anche l’ultimo alibi. Dopo due anni di guerra, dicono quegli autorevoli membri dell’élite istituzionale israeliana, Hamas non costituisce più una minaccia strategica.

La sua capacità militare è residuale e il tracollo dell’Asse della Resistenza guidato dall’Iran ha privato il movimento islamista palestinese anche di un solido retroterra militare e logistico.

Da qui l’implicito giudizio di insensatezza sulla nuova, annunciata, avventura a Gaza, che desta la non troppo silente contrarietà, liquidata con la sbrigativa esortazione governativa a dimettersi nel caso persista, del capo stato maggiore Zeyal Amir, accusato di tentato “golpe”, per questa presa di posizione, dal figlio dell'adirato premier, che certo non ha parlato a titolo personale.

Nell’esercito vi sono forti tensioni. Una simile obiettivo presuppone per l’Idf un’operatività in stile “iracheno”, con truppe acquartierate in basi sorte dalla nuova, brutale, urbanistica dell’occupazione, usate come trampolino per compiere incursioni negli accampamenti degli sfollati, nelle spiagge e tra le rovine.

Blitz incuranti degli “effetti collaterali” destinati a riverberarsi non solo sulla popolazione palestinese ma anche sugli ostaggi, la cui liberazione resta, evidentemente, un obiettivo secondario per Bibi e i suoi alleati messianici.

Uno scenario, quello dell’occupazione per un tempo indefinito, che potrebbe avere un corollario ancora più sgradito per l’Idf: l’instaurazione di un governo militare destinato, non solo a garantire la sicurezza dell’area, ma a fare un uso politico delle risorse: si tratti di acqua, energia elettrica, sostentamento della popolazione e concentrazione selettiva della stessa in aree indenni dai combattimenti.

Politica mirata a facilitare quell’esodo “volontario” della popolazione, reclamata a gran voce dai ministri Ben Gvir e Smotrich, leader di quei partiti di estrema destra nazionalreligiosa che consentono all’esecutivo Netanyahu di sopravvivere.

Un ritorno, quello a Gaza in nome della volontà di distruggere Hamas, che non riesce a occultare l’intento di procedere a una vera e propria pulizia etnica, funzionale alla definitiva cancellazione della questione palestinese così come si è configurata dal 1948 a oggi.

Una scelta, come affermano gli stessi firmatari dell’appello dei Seicento che, per i suoi contraccolpi interni ed esterni, rischia di mettere a dura prova l’identità, e la democrazia, israeliana. —

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