Quella morte assurda e il valore della scienza

La scienza sperimentale ci fornisce un sapere solo relativo, e non assoluto. Ma è l’unico di cui ci possiamo, ragionevolmente, fidare

Vincenzo Milanesi

Suscita infinita tristezza sentire parlare i genitori del ragazzino vicentino di 14 anni morto a causa di un tumore osseo che loro hanno ritenuto meglio non far curare seguendo i protocolli medici adeguati. Si sono affidati a ciarlatani che, invece della chemioterapia, gli somministravano antinfiammatori e antidolorifici insieme a impacchi di argilla.

E non c’è chi non comprenda il loro strazio: hanno provato il dolore più grande per un essere umano, la perdita di un figlio adolescente. Non c’è dubbio che hanno agito in buona fede, con le migliori intenzioni. Che però davvero in questo caso hanno lastricato la via dell’inferno. Perché hanno condannato a morte certa il loro ragazzo. Non è detto che la chemio l’avrebbe salvato, ma quanto meno gli avrebbe donato più vita, non sappiamo quanto, comunque alleviando le sue sofferenze.

È umano, umanissimo, disperarsi di fronte alla diagnosi di una malattia così terribile. Ma non serve in simili casi affidarsi a quelle che si suole chiamare le ragioni del cuore, perché le ragioni del cuore non esistono. Esistono nel cuore i sentimenti, quelli sì, con cui fare i conti. Ma la ragione è un’altra cosa, e non va evocata in modo metaforico al punto da usare il linguaggio in maniera fuorviante. I sentimenti ci fanno, spesso, andare “fuori di testa”. E ci mandano, altrettanto spesso, su strade sbagliate. Quella giusta, che la ragione, nel significato proprio e corretto del termine, ci obbliga a seguire, anche nel caso dello sfortunato ragazzo, è solo quella che ci conduce alla scienza. Perché solo la scienza ci dà alcune, provvisorie, parziali, insufficienti talora, certezze: che si raggiungono applicando la razionalità scientifica. Che si basa sul metodo sperimentale, l’unico metodo rigoroso di cui gli esseri umani possono servirsi.

È un metodo a cui l’uomo non ha potuto ricorrere da sempre, perché nel mondo antico di Greci e Romani, ai quali tanto deve la nostra civiltà, non lo conoscevano. Nasce nell’Età Moderna, con Galileo, che a Padova realizza alcuni tra gli esperimenti più importanti. Questo è il punto. La scienza si basa sull’esperimento, sulla verifica di un’ipotesi che guida l’osservazione fino a confermare o a smentire l’ipotesi stessa. Può accadere che una teoria fondata su un’ipotesi verificata venga poi smentita da un’altra teoria più completa, ma - fino a che non viene sperimentalmente dimostrata - quella teoria “nuova” non vale, e l’ipotesi non verificata è fuffa, senza alcun fondamento che la renda affidabile e credibile. Come nel caso delle “terapie alternative”.

Senza razionalità scientifica non c’è alcuna forma di sapere che ci dia affermazioni “vere” perché verificabili sperimentalmente. Da scriversi tuttavia con la “v” minuscola. Risultati provvisori. «Falsificabili», ma sempre e solo sperimentalmente. C’è una Verità che si scrive con la maiuscola, ma riguarda il campo della fede religiosa. È un’altra cosa. E ci sono i valori morali, che appartengono anch’essi a un’altra sfera dell’esperienza umana. La fiducia nella razionalità, che ci porta sul sentiero, pur accidentato, della scienza sperimentale, ci fornisce sì un sapere solo relativo, e non assoluto. Ma è l’unico di cui ci possiamo, ragionevolmente, fidare. Ci commuove vedere che ora, nel loro immenso dolore, lo dichiarano anche quei due poveri genitori. —

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