Il rompicapo che irrita la Casa Bianca

Lo stallo della vicenda ucraina e l’impossibilità di Trump di chiuderla. Per il Cremlino la guerra a Kiev è il vero banco di prova del rinato nazionalismo granderusso

Renzo GuoloRenzo Guolo
Donald Trump
Donald Trump

Sempre più in stallo la vicenda ucraina: nemmeno uno spazientito Trump riesce a chiuderla. Washington ha sempre pensato che Mosca avrebbe posto fine al confitto in cambio di un suo maggiore coinvolgimento in decisioni di comune interesse, ma per il Cremlino la guerra a Kiev è il vero banco di prova del rinato nazionalismo granderusso. Un disegno strategico di lungo periodo, mirato a ricostituire la perduta sfera imperiale di Mosca, che non ammette compromessi. Tanto meno un cessate il fuoco destinato, secondo il Cremlino, a vanificare gli sforzi compiuti per conseguire quell’obiettivo.

Da qui le richiesta di Putin, che punta sulla fretta trumpiana di concentrarsi sull’agenda interna e sulla Cina, non solo di annettere l’intero Donbass, comprese le porzioni di territorio ancora non conquistate, ma anche di avere come futuro interlocutore un governo diverso da quello di Zelensky, capace di fare da sponda alle istanze del potente vicino: soprattutto in termini di alleanze internazionali e proiezione geopolitica. È la via bielorussa.

È di fronte a questa non troppo imprevedibile rigidità di Mosca che Trump sembra pronto a fornire a Kiev i missili Patriot - ma non ancora i più temibili, e offensivi, Tomahawk -, ad autorizzare l’Ucraina a colpire, con i vettori a lungo raggio britannici Storm Shadow, obiettivi in territorio russo, ad annunciare nuove sanzioni contro i colossi del petrolio Rosneft e Lukoil .

Irrigidimento simboleggiato dall’annullamento del previsto vertice di Budapest con Putin. Il presidente Usa non poteva permettersi una riedizione del summit di Anchorage, dal quale lo “zar”, tornato nella scena mondiale grazie al tappeto rosso stesogli del leader Usa, era uscito vincitore. Putin non è il pur riottoso Netanyahu, costretto a ripiegare a Gaza su ordine de «l’amico americano» e , tanto meno, il bistrattato Zelensky, aggredito verbalmente anche nell’ultimo, assai poco amichevole, incontro alla Casa Bianca.

Il leader russo vuole che Kiev non solo si pieghi, ma si consegni. Punta a un accordo con l’America senza l’invisa Europa al tavolo. Del resto, la Ue ha armi spuntate: non ha peso militare, sul punto deve affidarsi a una spuria “coalizione dei volenterosi”, ed è divisa, come dimostra anche la discussione sul congelamento dei beni russi che si vorrebbe usare per finanziare l’acquisto di armi americane da girare all’Ucraina, utilizzo al quale il Belgio si oppone. Deve, così, limitarsi a nuove, ma poco efficaci, sanzioni sul gas liquido, destinate a colpire, più che i russi, i suoi reprobi membri cechi e ungheresi .

La partita ucraina ha per Putin duplice valenza: imporre la sovranità sull’Ucraina, considerata parte inalienabile della Russia, ma anche dividere la Ue che ora si assesta sulla, sino a ieri rifiutata, posizione trumpiana del congelamento dei combattimenti sulla linea di contatto. Pur sapendo che nulla di quello che Trump oggi sostiene può essere valido domani e temendo concessioni a Mosca che potrebbero mettere in difficoltà l’Unione o, almeno, quei suoi membri un tempo parte della “cintura dei satelliti” dell’Urss. Uno scenario davvero complicato. 

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