Migranti e cpr, la grande omissione

I Centri nel nostro Paese sono attualmente dieci, uno dei quali a Nord Est, a Gradisca d’Isonzo, in provincia di Gorizia: una realtà che si è attirata l’etichetta di «Guantanamo italiana» per le condizioni di vita, oggetto di ripetuti casi di cronaca

Francesco JoriFrancesco Jori
Cpr fuori legge: la Corte Costituzionale boccia la detenzione dei migranti senza reato
Cpr fuori legge: la Corte Costituzionale boccia la detenzione dei migranti senza reato

Carcerati, senza aver commesso alcun reato. È uno schiaffo al nostro sistema di Cpr (Centri permanenti per i rimpatri dei migranti) la sentenza con cui nei giorni scorsi la Corte Costituzionale ha denunciato una realtà di fatto fuori legge; e al tempo stesso ha rivolto un severo richiamo al Parlamento a colmare il vuoto normativo in materia. L’ennesimo: come sul fine vita e sul suicidio assistito (quattro volte...), o sui figli di coppie omogenitoriali. Un mancato intervento, quello sui Cpr, «tanto più urgente in considerazione della centralità della libertà personale nel disegno costituzionale».

I Centri nel nostro Paese sono attualmente dieci, uno dei quali a Nord Est, a Gradisca d’Isonzo, in provincia di Gorizia: una realtà che si è attirata l’etichetta di «Guantanamo italiana» per le condizioni di vita, oggetto di ripetuti casi di cronaca. Ma è tutt’altro che un caso isolato.

Ripetuti rilievi di organismi anche europei segnalano maltrattamenti fisici e uso eccessivo della forza, ricorso a farmaci psicotropi senza prescrizione medica, trattamenti degradanti, strutture sul modello delle carceri ad alta sicurezza, gestori privati che spesso non rispettano gli obblighi previsti nei capitolati di appalto. Sono luoghi nei quali si viene trattenuti per lunghi periodi, addirittura fino a diciotto mesi, oltretutto in una condizione di inattività forzata che non di rado è causa dell’esplodere di episodi di violenza.

È essenziale chiarire che i Cpr non sono nati come forma di contrasto alla criminalità, ma come risposta al trattamento degli stranieri entrati in Italia senza valido permesso di soggiorno. Nella realtà accade il contrario, come denuncia la Corte: i trattenimenti in essi effettuati (sulla base di un decreto legislativo del 1998, più volte modificato), sono una vera e propria forma di carcerazione, violando un principio di base del nostro ordinamento: in cui «non è ammessa alcuna forma di detenzione né qualsiasi altra restrizione della libertà personale, se non per atto motivato dell’autorità giudiziaria, e nei soli casi e modi previsti dalla legge».

Oggi invece ci si muove sulla base di misure e regolamenti amministrativi, firmati da prefetti e questori, assolutamente privi di valore di legge. La Consulta spiega a chiare lettere che «la detenzione amministrativa presso i Cpr deve restare estranea a ogni connotazione di carattere sanzionatorio»: non essendoci reati, non ci può essere una restrizione punitiva.

Da qui la chiamata in causa del legislatore, cioè del Parlamento, sul quale «ricade l’ineludibile dovere di introdurre una disciplina compiuta che detti, in astratto e in generale per tutti i soggetti trattenuti, contenuti e modalità delimitativi della discrezionalità dell’amministrazione, in maniera che il trattenimento degli stranieri assicuri il rispetto dei diritti fondamentali e della dignità della persona senza discriminazioni».

Al di là dei suoi contenuti, la sentenza pone, anzi ripropone, un nodo di fondo che caratterizza da sempre la politica italiana sui migranti: trattare il fenomeno sotto l’ottica della sicurezza, anziché come un processo di lungo periodo da gestire con regole chiare. Anche perché i flussi sono in netta diminuzione: a venerdì scorso, gli sbarchi da inizio anno erano stati 32 mila, contro i 73 mila dello stesso periodo di due anni fa (dati ministero dell’Interno).

Di immigrati abbiamo e avremo sempre più bisogno, come continuano a ripetere gli stessi imprenditori anche in questi giorni. Trattarli in blocco da potenziali delinquenti non castiga solo loro: significa farci del male da soli. —

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