Da Berlino l’Europa appare zoppa

I partner europeisti immaginavano il neocancelliere tedesco Friedrich Merz come una sorta di messia. E intanto il premier polacco Donald Tusk avverte che, per l'Europa, è finita l'era della spensieratezza

Marco ZatterinMarco Zatterin
Il giuramento del neocancelliere tedesco Friedrich Merz
Il giuramento del neocancelliere tedesco Friedrich Merz

Lo aspettavano come Lord Wellington attendeva il feldmaresciallo Blücher a Waterloo. Mentre infuriava la battaglia contro il grande nemico dell'Europa, sulle colline della Vallonia gli alleati speravano che i prussiani si presentassero compatti a colpire il fianco destro dei napoleonici e risolvessero la sfida a loro vantaggio. È andata diversamente rispetto al fatale giugno del 1815.

Il neocancelliere tedesco Friedrich Merz è arrivato, certo, ma con mezza giornata di ritardo e su un cavallo zoppo, con un'armata fragile che fa ora meno paura del previsto ai populisti e ai nemici di Bruxelles.

La bandiera con la scritta Germany is back sventola sbrindellata e il tavolo per il rilancio del patto a dodici stelle ha una gamba corta. Si ballerà ancora, nei prossimi mesi. Parecchio. Lo si capisce dalla debolezza del fronte comunitario. E dal sorriso beffardo di Alice Weidel, l'ultranazionalista di Alternative für Deutschland, una che quando sogna il ritorno della Germania pensa più agli anni '30 del secolo scorso che a quelli che si approssimano nella nostra storia.

Se in un Paese severo e disciplinato quale è la Germania succede qualcosa che non ha precedenti, tutti i campanelli di allerta devono suonare. I partner europeisti immaginavano Merz come una sorta di messia. Era l'uomo che, sulla carta, doveva rimettere in pista il suo Paese spaccato dalla crisi economica e sociale, quindi curare la tosse del motore dell'Unione assediata da destra e sinistra, da chi identifica la ragione di ogni ingiustizia nella tecnocrazia di Palazzo Berlaymont, come da chi vede nella polvere conservatrice con cui i popolari tedeschi hanno condito le loro politiche inclusive il tradimento della democrazia e della tutela dei diritti diffusi.

I due estremi si congiungono nella passione per un disordine nel quale possono trovare più facile alimentare il consenso. Entrambi hanno ragione nel dire che l'Europa non è all'altezza della situazione, vittima degli egoismi nazionali, soprattutto. Ma la medicina che propongono, ovvero l'indebolimento e/o lo smantellamento delle linee di integrazione, appare ai più una soluzione peggiore del malessere.

Salvo colpi di scena, Merz tirerà dritto. Il calendario lo annuncia a Parigi e Varsavia oggi, poi a Bruxelles venerdì per fare il punto con la connazionale von der Leyen (pure della Cdu) sull'avvenire dei Ventisette. Il neocancelliere venderà i 325 voti incassati al secondo giro (ne servivano 316, la maggioranza ne ha 328) come un incidente di percorso frutto di un'eccessiva confidenza, sebbene sia evidente che nella mancata elezione istantanea alberghi anche un palese calcio negli stinchi da parte della pancia della nuova maggioranza. È un colpo che potrebbe essere indice di salute gracile per il governo rosso-nero, ma che potrebbe anche costituire un precedente salutare. Si vedrà.

Il Vecchio continente respira l'aria del tutto è possibile, persino il peggio, almeno dal punto di vista della maggioranza di cittadini che ha fede nell'Unione che può far la forza. Ogni giorno diminuiscono i margini di errore, il prezzo delle distrazioni raddoppia.

Il premier polacco Donald Tusk avverte che, per l'Europa, è finita l'era della spensieratezza. Ha ragione. Ora non è più possibile sbagliare, evitare di mettere i cittadini al centro dell'azione. La storia, anche la più maledetta, si ripete sempre per chi rifiuta di impararne la lezione. Soprattutto quando l'insegnamento è chiaro quanto doloroso. 

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