Un doppio rischio sulla strada della premier
Mai prima d’ora era uscita un’immagine così nitida sugli smartphone dei Fratelli d’Italia piegati a compulsare i risultati di Puglia e Campania. E quindi allarme nero, si corre ai ripari, l’unità di crisi è allertata

Niente da fare, qualcosa si è spezzato. Sul piano psicologico innanzitutto, che in politica, come in ogni universo dominato dalle relazioni, conta molto: sì è vero, c’è stato un pareggio alle elezioni regionali, fatto sta che il clima è mutato, per Giorgia Meloni da lunedì sera nulla sarà più come prima.
Perché da Padova a Venezia, da Napoli a Bari, non è arrivato alcun dono di Natale se non una brutta constatazione: che il Campo largo unito funziona, che le sfide nei collegi con il centrosinistra diventano a rischio e con esse la vittoria alle politiche 2027.
Mai prima d’ora era uscita un’immagine così nitida sugli smartphone dei Fratelli d’Italia piegati a compulsare i risultati di Puglia e Campania. E quindi allarme nero, si corre ai ripari, l’unità di crisi è allertata.
Per carità, poche luci e tante ombre per la premier, così come per la sua rivale, Elly Schlein. La quale riesce nel piccolo capolavoro politico di passare per vincitrice in quanto il suo Pd è cresciuto... ma grazie ai voti dei “cacicchi” che aveva giurato di abbattere nel suo programma elettorale per la conquista del partito, Vincenzo De Luca, Antonio Decaro ed Eugenio Giani. Ma se Sparta sorride, Atene non può farlo: la premier sconta il flop in Veneto nel derby con il Carroccio e quello del suo candidato Edmondo Cirielli in Campania.
E ora, malgrado un cursus honorum macchiato dall’irrilevanza sullo scacchiere internazionale, ma con i sondaggi alti fin dall’esordio a palazzo Chigi (fenomeno mai visto in natura), la fotografia che esce dalle regionali tinge di una luce sinistra i due prossimi target: la nuova legge elettorale da far passare per eliminare le pericolose sfide nei collegi; e il referendum confermativo della riforma sgradita ai giudici.
Due crinali scoscesi. Se come sembra, la nuova legge proporzionale non conterrà l’indicazione del premier sulla scheda, per Giorgia sarebbe uno smacco: una perdita secca, concessa agli alleati riottosi in cambio di un sì alla nuova legge che le consenta un più facile ritorno a Palazzo Chigi.
Forse per tenere alta la bandiera la riforma del premierato, è stata rimessa su un binario in Parlamento solo ora. Il referendum sulla giustizia, poi. è un rebus: l’affluenza al 44% alle urne certifica la fuga del voto di opinione e lascia margini di manovra solo sul voto militante. Ergo, il sì popolare alla separazione delle carriere è molto più a rischio.
Lo conferma l’idea di far approvare la legge elettorale prima del referendum: una sconfitta indebolirebbe la maggioranza tanto da rendere impraticabile un blitz sul nuovo sistema di voto con il ricorso alla fiducia. Scorciatoia indispensabile per sminare i tanti franchi tiratori della maggioranza, ostili a cercarsi le preferenze col proporzionale.
Ma non è tutto: da lunedì la Lega ha rialzato la testa e Matteo Salvini ha lanciato un primo segnale, stoppando la legge che Meloni aveva concordato con Schlein contro la violenza sulle donne. Un avvertimento che induce i tecnici di via della Scrofa a rimuginare su cosa dare a Salvini per farlo star buono: una partita in cui rientrerà il ruolo da offrire a Luca Zaia e un’accelerazione all’Autonomia.
Ma il punctum dolens di Meloni è il rischio recessione, che una legge di bilancio così fiacca non può contrastare. Tutto ciò potrebbe indurla ad anticipare di un anno il voto del 2027. Ardua impresa convincere i peones a rinunciare al seggio senza alcuna certezza di riaverlo.
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