Meloni in equilibrio tra raid e riarmo: “Non escludo l’uso di basi in Italia, ma serve passaggio parlamentare”
Dura replica alle opposizioni in Aula: “L’Italia non ha partecipato agli attacchi, ma se necessario il Parlamento sarà coinvolto”. Applausi bipartisan per la condanna a Israele: “Reazioni inaccettabili”. Ma il fronte politico resta spaccato


Giorgia Meloni giustifica gli attacchi all’Iran senza menzionare Donald Trump, come le rinfaccia Giuseppe Conte, invoca il dialogo tra governo e opposizioni «per il bene della nazione», ma difende la corsa al riarmo invisa ai pacifisti della sinistra e non esclude un futuro uso di basi militari degli alleati nel nostro territorio. Limitandosi a precisare che «la nostra nazione non ha preso parte agli attacchi in Iran», ammette di non poter escludere che ciò accadrà, anche se in tal caso «un passaggio parlamentare ci sarebbe comunque». Insomma, a male estremo, la premier chiederà un via libera del Parlamento per condividere la responsabilità con la sua maggioranza, sperando di avere con lei parte delle opposizioni. Che non le fanno sconti e chiudono qualsiasi spiraglio, tacciandola di complicità con la dottrina dell'uso della forza.
Meloni condanna i massacri a Gaza ma non si piega alla richiesta della sinistra di chiudere le collaborazioni con Israele «per non isolare Tel Aviv». Su un punto, però si sbilancia: quando definisce «azioni inaccettabili che chiediamo di fermare immediatamente» le «legittime reazioni» di Israele al terribile sterminio del 7 ottobre: inaccettabili, dice proprio così, tanto da suscitare il primo applauso bipartisan dell’emiciclo di Montecitorio.
Chiamata a riferire la linea del governo in vista dei vertici Nato ed europei, la premier non prende le distanze da Trump e Netanyahu, si attira gli strali di Schlein e dei 5 stelle, respinge l’accusa di piegarsi ai voleri del tycoon sulle spese militari poiché «nessuna nazione sovrana può essere libera se affida ad altri la propria sicurezza». Ma anche nel governo il clima è cupo.
Se il linguaggio del corpo ha un valore, e nei momenti topici ce l’ha, la figura imponente di Guido Crosetto con lo sguardo fisso nel vuoto e il busto rigido mentre la premier interviene in aula alla Camera, colpisce più di tante parole. L’angoscia di chi si chiede perché mai doveva toccare a questa coalizione cimentarsi con il franare della storia è stampata nel volto dei ministri e in quello di Matteo Salvini, che ascolta a mani giunte come in preghiera, il rosario di disastri che si compiono sotto i nostri occhi impotenti.
Chi però dopo la telefonata Meloni-Schlein sperava in un appeasement tra le due trincee dovuto dalla gravità della situazione, ha dovuto ricredersi. Neanche questa occasione è riuscita a comporre le frizioni, anche se la premier fatto il gesto di tendere la mano. Il Pd, i 5 stelle, i Verdi-Sinistra le hanno contestato quasi tutto.
La premier come sempre si muove sul filo di lana, dando un colpo al cerchio e uno alla botte: «Il futuro della striscia di Gaza dipende dal rilascio degli ostaggi» è la tesi del governo di Bibi. Bisogna operare affinché «due popoli convivano in pace», è quella più cara alla sinistra. E provando a tranquillizzare imprese e cittadini sull’aumento del costo dell’energia se venisse chiuso davvero lo stretto di Hormuz, perché «ci siamo assicurati di garantire all’Italia gli approvvigionamenti necessari». Ma il punto centrale è la giustificazione dei raid, «perché se l’Iran diventasse una potenza nucleare avvierebbe una rincorsa a dotarsi di armi atomiche degli altri attori di quell’area».
In sintonia con tutto l’arco parlamentare, la conclusione è che «solo un’azione diplomatica coordinata può garantire una pace». Ma sembrano parole al vento in questa terribile fase.
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