Le prospettive dopo l’attacco Usa, un mondo ancora più pericoloso

Le parole dei Pasdaran mostrano la volontà del regime iraniano di alzare il livello dello scontro. L’allargamento del conflitto potrebbe portare a una ripresa degli attacchi terroristici

Renzo GuoloRenzo Guolo
Donald Trump e Benjamin Netanyahu
Donald Trump e Benjamin Netanyahu

L’America attacca l’Iran, colpendo i siti nucleari di Fordow, Natanz e Ispahan. Anche se, secondo Teheran, non mette fine al suo programma nucleare. L’uranio arricchito sarebbe stato, infatti, trasferiti altrove: affermazione peraltro parzialmente smentita da Israele.

Dunque Donald Trump, che aveva mascherato le sue intenzioni con contrastanti dichiarazioni, si accoda a Benjamin Netanyahu, che vede non solo nella capacità nucleare, ma nella stessa esistenza della Repubblica Islamica, una minaccia per la sicurezza e la politica di potenza di Israele.

Una decisione, quella del presidente degli Stati Uniti, che solleva aspre critiche dell’opposizione democratica, che lo accusa di aggirare la procedura costituzionale entrando in guerra senza un preventivo passaggio al Congresso. Violazione che i dem ritengono passibile di impeachment.

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La redazione
Militari davanti alla Sinagoga di Trieste (Lasorte)

Ma i dubbi degli oppositori, come quelle dei Paesi alleati, contano poco per The Donald. A riprova, l’attacco degli Stati Uniti avviene a poche ore dalla conclusione del tentativo diplomatico di Ginevra, nel quale Francia, Germania, Gran Bretagna e Unione Europea hanno sostenuto le posizioni degli Stati Uniti, nel frattempo impegnati a pianificare segretamente con Israele l’imminente incursione sull’Iran. Ennesima dimostrazione che valutazioni e interessi degli europei contano ben poco per Washington.

L’Iran reagisce al bombardamento e alle minacce di Trump - che ingiunge agli iraniani di scegliere tra «pace e tragedia», prospettando nuovi, e più pesanti attacchi, in caso di mancato «ritorno alla trattativa», affermando che la guerra «inizia solo ora». Parole, quelle dei Pasdaran, che paventano l’innalzamento dello scontro.

Per quanto indeboliti, gli iraniani possono continuare a lanciare missili sulle non più inattaccabili città israeliane. E mettere nel mirino le basi americane in Medio Oriente: in particolare in Iraq, dove , dopo la disastrosa guerra del 2003, Teheran conta su milizie alleate.

Oppure, come invoca il parlamento iraniano, chiudere Hormuz: decisione destinata a generare pesanti ripercussioni economiche su scala mondiale, che il vicepresidente Usa J.D. Vance etichetta come «suicida». A loro volta i fidi Houthi possono rendere ancora più rischioso l’accesso al Mar Rosso.

Un allargamento del conflitto, che non terrebbe al riparo nemmeno i Paesi del Golfo, e avrebbe anche caratteri asimmetrici, con la prevedibile ripresa di attacchi terroristici dentro e fuori la regione.

Trump precisa non volere «lo scontro totale» ed esorta l’Iran negoziare. Ma dopo l’attacco dell’Air Force e la fallimentare trattativa con Usa, E3 e Ue, Teheran sembra non ritenere più percorribile la via diplomatica. Convinta che , se anche esistesse uno spiraglio, ci penserebbe Israele, che ormai ritiene il tracollo dello storico nemico a portata di mano, a chiuderlo: coinvolgendo in una micidiale logica azione/reazione, «l’amico americano», ormai piegato alla politica del fatto compiuto di Bibi. Al di là del nucleare, l’obiettivo di Netanyahu, resta il “regime change”.

Un scelta gravida di conseguenze quella di Trump, un presidente che doveva «finire tutte le guerre» e, invece, precipita gli Stati Uniti in una nuova avventura bellica, tradendo l’isolazionista movimento Maga.

The Donald ignora anche l’offerta di Vladimir Putin di arricchire l’uranio per uso civile in Russia: carta che il Cremlino mette sul piatto anche per evitare la perdita del suo ultimo alleato in Medio Oriente. Ma se fosse costretta a rinunciare anche al nucleare civile, l’Iran cercherebbe di arrivare alla bomba uscendo dal “Trattato di non proliferazione”, evitando così le ispezioni dell’Aeia. Contrariamente a quanto afferma il segretario di Stato americano Marco Rubio, il mondo non pare affatto più sicuro dopo l’attacco Usa.

 

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