Pace, ma non troppo: la sinistra si divide in piazza contro “Readiness 2030”
Alla manifestazione romana contro guerra e riarmo emergono le fratture del fronte progressista: tra pacifismo autentico, ambiguità ideologiche e calcoli elettorali


Prove generali di disunità a sinistra nell'odierna manifestazione romana contro il «ReArm Europe» (che, peraltro, ha cambiato nome in «Readiness 2030)». Su un tema, quello della pace, sempre più scivoloso sul piano politico per quello che, dopo le vittorie in alcune elezioni amministrative e la battaglia referendaria, si era convinto di poter essere un campo (più) largo e unito.
Sebbene, in materia, fosse comparsa l'ennesima "luce rossa" e spia critica nel supporto rispetto a uno dei quesiti referendari – quello sulla cittadinanza – oggetto dei distinguo del Movimento 5 stelle. Figurarsi, dunque, cosa sarebbe potuto accadere su una questione oggi (drammaticamente) cruciale quale quella dell'opposizione alla guerra, prepotentemente ritornata nel nostro orizzonte collettivo. Anche perché la politica estera costituisce una delle fratture più rilevanti che dividono i partiti progressisti – e che, per la verità, produce conflitti strutturali anche nel campo avverso del destracentro. Insomma, l'unità della recente piazza su Gaza si rivela difficile da riprodurre.
Quest'oggi sfilano oltre 400 associazioni pacifiste e gruppi nonviolenti «contro guerra, riarmo, genocidio e autoritarismo». E, in maniera particolarmente evidente, si ripropongono le contraddizioni e le ambiguità (alcune di vecchia data e lunga durata) della categoria-ombrello di pacifismo in quest'epoca purtroppo tanto tempestosa.
Tantissime persone in buona fede, terzo settore e comitati riuniti dall'ideale autentico della pace, ma anche presenze – come quelle di vari gruppi pro-pal – che non possono certo venire considerati come dei supporter della causa del pacificismo, alquanto espliciti nella loro condivisione delle scellerate azioni stragiste di Hamas, un movimento che non può venire giustificato in alcun modo e ha oppresso la sua incolpevole popolazione civile sottoposta in questi mesi alla smisurata e sciagurata reazione del governo Netanyahu.
Guardando alle parole d'ordine della piattaforma di oggi l'impressione è che, accanto a chi sente l'urgenza di manifestare pubblicamente la propria indignazione di fronte ai venti di guerra sempre più violenti, risulti palese una coppia di questioni. Ovvero, da un lato, il riflesso pavloviano anti-occidentale di alcuni settori della sinistra radicale, che non vogliono tracciare una linea di demarcazione netta verso le fumisterie rossobrune o il generalgenerico "complessismo", perché continuano a considerare la Nato come "ontologicamente" guerrafondaia e responsabile di ogni conflitto (pure quando a invadere è stato il Cremlino putinista). E, dall'altro, la finalità elettoralistica costante di Giuseppe Conte, che vede in questo contesto una grande finestra di opportunità e continua ad attaccare l'Ue, come se non fosse stato il presidente del Consiglio che ha dato per primo il via libera all'incremento delle spese militari.
Ed è precisamente qui uno dei fattori che rende sì praticabile il campo progressista a livello locale, ma ne fa una coalizione altamente instabile sul piano nazionale a dispetto della «volontà te stardamente unitaria» di Elly Schlein, segretaria di un Pd in versione "movimentismo senza limitismo". E soggetto, così, appunto senza limiti, anche alle incursioni "filibustiere" e ai diktat del «CamaleConte». —
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