«Mi avete ignorata, ma ce l’ho fatta da sola»: la lettera-denuncia di una studentessa dopo il 100 alla maturità
Tra isolamento, terapia e attacchi di panico: la testimonianza di una maturanda accende i riflettori sul disagio giovanile dentro le aule scolastiche

Dalla sofferenza al riscatto: pubblichiamo una lettera che una neodiplomata di Udine ha inviato al nostro giornale e la risposta del vicedirettore Paolo Mosanghini. La ragazza racconta il lato nascosto della scuola e accende il dibattito sul benessere degli studenti e il senso dell’esame di Stato
Cara scuola, cari insegnanti, cari compagni,
non vedevo l’ora che arrivasse questo momento, poter dire ciò che penso e liberarmi dai pregiudizi e giudizi che voi mi avete associato. Non mi conoscete, non mi avete mai conosciuta e non vi è mai interessato farlo. Alla fine la mia vittoria l’ho avuta, le mie soddisfazioni anche: sono uscita con il 100, un meritatissimo e inaspettatissimo 100.
Per anni sono stata isolata, trattata come “debole” per dirlo con parole vostre, ignorata e sminuita. Per anni sono dovuta andare in terapia, per problemi che senza di voi non avrei mai avuto. Per anni ho sofferto in silenzio perché nessuno era disposto ad ascoltare.
Per anni ho rincorso gli altri nonostante fossi io quella che avrebbe dovuto scappare.
Sono stata in silenzio perché la paura che il mio percorso fosse messo ancora di più a rischio mi terrorizzava; ho sofferto in silenzio, mi sono aiutata da sola e mi sono riscattata da sola.
Vorrei poter dire anche io che quelli del liceo sono gli anni più belli della vita, ma per me sono stati i peggiori: le notti insonni a piangere per altri e altro, gli attacchi di panico nei bagni della scuola, l’indifferenza delle persone.
Ho vissuto delle difficoltà e ne eravate consapevoli, ma avete pensato che fosse la giusta occasione per ostacolarmi, perché? Spesso si parla della scuola come ambiente sicuro, di libertà e unione, di supporto e benessere, ma credo di poter dire con certezza che non è cosi.
Ho dato tutto per ottenere dei risultati, ma li ho raggiunti con dolore e sacrifici; possono essere voti o riconoscimenti meravigliosi, ma per me sono e saranno sempre la prova tangibile di quanta sofferenza ci sia dietro, perché nonostante tutto ci sono riuscita da sola.
Nonostante i giudizi inopportuni e personali, nonostante la libertà che molti si sono presi di giudicare e criticare le mie condizioni fisiche e psicologiche, nonostante gli infondati attacchi personali, nonostante i voti usati come arma e non come strumento, sono riuscita a uscirne con dignità e fierezza.
Se ora scrivo questa lettera non è per attaccare o vendicarmi, ma solo per poter dire a tutti “ci sono riuscita”.
Guardandomi indietro non riuscirei a sopportare tutto di nuovo, non so come l’ho fatto la prima volta.
Appena le ingiustizie sembravano finite, eccole di nuovo, pronte a demolire nuovamente ciò avevo costruito con fatica.
Penso che molti ragazzi e ragazze come me si siano trovati in una situazione del genere, e che per la paura lo abbiano accettato, perché in fondo non si poteva fare altro.
Per me è stato così, ma sapere di non essere la sola e unica persona a viverlo mi avrebbe aiutata: è per questo che sto scrivendo. Spero (o no) che qualcuno leggendo queste parole si ritrovi in una delle due parti e che questo lo aiuti a riflettere.
Voi che mi avete consumata e sfinita, spero ve ne rendiate conto e conviviate con questa consapevolezza; spero che siate fieri di me e del mio risultato.
Voi che siete stati consumati e sfiniti, spero capiate che prima o poi si conclude tutto, e può anche finire bene.
La risposta del vicedirettore del Messaggero Veneto, Paolo Mosanghini
Ho scelto di rispondere a questa lettera di una studentessa di uno storico liceo di Udine; la lettera è accompagnata da due righe: «Vorrei condividere la mia esperienza, come atto di denuncia e espressione personale».
La vita, nel suo prosieguo, porta a leggere anche quell’esame sotto un’altra luce e a dargli la giusta dimensione. Non solo i ricordi nostalgici per i tempi che non ci sono più, o le canzoni che diventano evergreen perché ricordano la notte prima degli esami.
Come scrive la nostra giovane lettrice, dietro alle interrogazioni, alle verifiche, ai sorrisi stampati e finti ci sono sofferenze, il suo caso purtroppo non è isolato. Disagi tra i ragazzi sono diffusi, soprattutto se l’ambiente non è sereno, come traspare dalle parole della neomatura. Nei giorni scorsi, tre studenti sono finiti alla ribalta della cronaca per non aver sostenuto l’esame orale con l’obiettivo di contestare un sistema che valuta la maturità degli studenti esclusivamente sulla base dei voti, generando stress e creando tra i ragazzi un clima di competitività esasperata.
L’esame di maturità è diventato lo specchio di una condizione più ampia; una lente attraverso cui osservare il modo in cui i ragazzi vivono sé stessi, i propri limiti, le aspettative, e soprattutto l’idea di valore personale.
Una recente indagine evidenzia che il 61,9% dei ragazzi dice di essere molto stressato per l’esame, uno stress che riguarda il futuro, ma anche il presente e la percezione del proprio valore. Il 29,8% dichiara reazioni emotive forti: come crisi di pianto, attacchi d’ansia, scatti d’ira, fino a disturbi alimentari.
Nel rapporto tra maschi e femmine emergono differenze importanti. Le ragazze dichiarano più ansia, più insicurezza, più fatica. Questo non significa che i maschi stiano meglio, ma forse tacciono o dissimulano e somatizzano in altro modo.
I ragazzi vogliono ribellarsi a un sistema, ed è comprensibile, fa parte dell’età, del passaggio a una fase nuova della vita. I ragazzi hanno di sé una percezione e una valutazione, elaborata attraverso i propri filtri, che non sempre corrispondono a quelli degli adulti che – nel caso degli insegnanti – li giudicano.
Non è un tema nuovo. Il fastidio provato tra una generazione e l’altra, l’incubo degli esami di maturità, il conflitto con gli insegnanti sono sempre esistiti, non soltanto per diverse visioni, ma anche per incomprensioni, frustrazioni o veri e propri sensi di ingiustizia.
La risposta del ministro Valditara agli studenti ribelli che non si sottopongono all’esame orale è stata dura: bocciateli. Ci sono regole del gioco che vanno rispettate. L’atto di ribellione non risolve il conflitto, ma lo accentua danneggiando - nella valutazione - lo studente che si sente giudicato.
La nostra giovane lettrice attraversa questa fase e le va dato merito di aver trovato il coraggio di esporsi e di raccontare la sua esperienza, nella quale si possono immedesimare altri coetanei.
Cara lettrice, complimenti e congratulazioni per il risultato finale. Lei, a differenza di suoi coetanei, ha portato a termine il percorso accettando le regole del gioco.
Prof e studenti che hanno letto le sue parole si chiederanno chi sia, che volto abbia. Ha il nome e il volto di ragazze e ragazzi che non si sentono capiti e sfidano gli adulti con maturità (che non è soltanto l’esame di Stato).
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