Le nuove crisi e i conti aperti del Novecento

Le democrazie non sono sempre pacifiche, ma sono condizionate dall’opinione pubblica, e dalle loro popolazioni che generalmente non vogliono essere coinvolte direttamente in guerre. Le autocrazie al contrario spesso trovano nei conflitti un elemento di rafforzamento del loro potere

Peppino Ortoleva

Dall’Ucraina all’India, dal Medio Oriente al Congo, tra guerre guerreggiate, massacri e conflitti sull’orlo di esplodere il mondo si è fatto più pericoloso di quanto non sia mai stato dalla fine della seconda guerra mondiale.

Le tensioni da cui siamo minacciati oggi non sono nate però adesso. Lo scontro perenne sull’orlo della guerra nucleare tra l’India e il Pakistan è cominciato negli anni Quaranta del secolo scorso, dopo una decolonizzazione catastrofica per numero di morti e per conseguenze. Agli stessi anni risale la questione di Taiwan e della sua possibile “riconquista” da parte della Cina, che minaccia tutti gli equilibri dell’area del Pacifico.

È dei primi anni Cinquanta la separazione armata, pure con rischio nucleare, tra le due Coree. Nel decennio successivo il conflitto tra Israele e il mondo islamico che era cominciato con la nascita dello stato ebraico (1948) è entrato con l’occupazione dei territori palestinesi della Cisgiordania e di Gaza in una fase di violenza terroristica e militare che ora sta toccando l’apice dell’atrocità.

Negli anni Sessanta la decolonizzazione di vaste aree dell’Africa si è tradotta in un susseguirsi di dittature militari e conflitti, fino alla guerra di tutti contro tutti in corso ora nell’est del Congo. Agli ultimi due decenni del Novecento risale la fine della vecchia Unione Sovietica, mentre mai sono cessati i tentativi della Russia di restaurare il suo impero, peraltro alla radice della guerra in Ucraina. Nella stessa area restano irrisolte annose questioni di confine, vedi la tensione sempre sull’orlo di esplodere tra Armenia e Azerbaijan.

La domanda da farsi non è perché ci siano nel mondo tante zone di scontro, ma perché siano diventate così minacciose proprio adesso. Ha contato certo la decisione di Putin di lasciarsi alle spalle l’”equilibrio del terrore” che aveva retto decenni di Guerra fredda, sfidando gli Usa e l’Europa a fermare la sua azione contraria a ogni regola internazionale.

Così si è riaperta la strada ai conflitti armati anche sul suolo del vecchio continente, ed è nata una partnership strategica con un paese fino ad allora tenuto ai margini del sistema degli stati come la Corea del Nord, oltre che con l’Iran.

La Russia non ha vinto per ora, ma ha dimostrato come contro un’azione simile l’occidente abbia armi spuntate tanto più dopo l’ascesa alla presidenza di Trump.

La nuova amministrazione americana ha favorito ovunque l’inasprirsi di tensioni antiche, grazie alla sua politica ondivaga che sta rovesciando il sistema delle alleanze e sta seppellendo definitivamente il ruolo di garanti (ben remunerati sul terreno dei profitti) della stabilità internazionale che gli Usa si erano assunti per decenni. In realtà è almeno dall’inizio di questo secolo che la potenza americana con le invasioni dell’Iraq e dell’Afghanistan ha agito come fattore di disordine più che di ordine, certo ora contribuisce ancora più decisamente alle tensioni pur dichiarando di voler essere portatrice di pace.

Il problema maggiore è rappresentato dalla generale tendenza all’affermarsi di regimi autoritari in molte parti del mondo.

Le democrazie non sono sempre pacifiche, ma sono condizionate dall’opinione pubblica, e dalle loro popolazioni che generalmente non vogliono essere coinvolte direttamente in guerre. Le autocrazie al contrario, e Putin ne è un esempio evidente, spesso trovino nei conflitti un elemento di rafforzamento del loro potere.

Tra i molti motivi per cui dovremmo difendere la democrazia questo viene spesso dimenticato, ma è uno dei principali.

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